sabato 2 gennaio 2010

la cucina ebraica e le feste

La cucina ebraica: alimentazione e feste

Le regole della cucina ebraica


(PRESENTATRICE) Parleremo ora brevemente di un argomento che dovrebbe interessarci particolarmente: la cucina. Le caratteristiche di questa originale tradizione gastronomica non sono così tanto conosciute. Anche la cucina, così come ogni altra attività della vita umana, si ancora alla fede e alla legge. Che cos’ha di speciale rispetto alle altre tradizioni? Daremo uno sguardo in cucina per capire quali siano le norme alimentari fondamentali che debbono essere rispettate per mangiare in modo corretto, secondo la volontà di Dio. Siamo curiosi poi di conoscere qualche specialità, i piatti forti che si preparano in occasione di due famose feste ebraiche: lo Shabbat, il sabato e la festa principale del calendario ebraico, Pesah, la pasqua, caratterizzata dalla famosa cena, chiamata seder pasquale. Cominciamo dalle regole. Mangiare è un rito vero e proprio corredato da preghiere di benedizione iniziali e finali.

(LETTORE) Il fatto che gli ebrei da venti secoli vivano sparsi nel mondo spiega la varietà dei cibi nei vari paesi. La cucina ebraica deve seguire scrupolose regole religiose deve essere cioè kosher, giusta, corretta, buona. Ogni atto della vita quotidiana è sacro: anche il cucinare kosher è vivere nella legge e contribuisce alla santificazione dell’uomo, al rispetto del creato, degli altri uomini, degli animali e della natura.
La Bibbia indica le specie di animali permesse e quelli proibite. Sono permessi gli ovini, i caprini e i bovini. I volatili non devono essere né notturni né rapaci e i pesci devono avere pinne e squame. Proibiti sono per esempio gli insetti, tranne alcuni tipi di cavallette permesse solo in alcune zone. La regola più famosa è questa: È proibito mangiare il vitello cotto nel latte della madre. «Non si può cuocere la carne nel latte», cioè abbinare, mescolare la carne e il latte, la vita con la morte. Ci sono anche norme particolare per la macellazione e la preparazione delle carni degli animali puri. Devono essere animali senza difetti, macellati da persona specializzata, lo Shochet, autorizzata dal rabbino, devono provocare la morte istantanea dell’animale con un coltello affilatissimo, con un colpo preciso dalla trachea all’esofago, e far fuoriuscire tutto il sangue, perché la vita di ogni essere vivente è il sangue, «nel sangue sta la vita, perciò ho detto ai figli di Israele: Non mangerete il sangue di qualunque specie di carne». Levitico 17, 12-14.
Si dovrà inoltre eliminare il nervo sciatico della coscia, in osservanza del racconto della Genesi do-ve si racconta della lotta di Giacobbe-Israele con l’angelo, cioè con Dio stesso, che lo colpirà proprio alla coscia, prima di chiamarlo Israele. Giacobbe da quel combattimento ne uscì zoppicando. La carne ben risciacquata va messa sotto sale grosso, per non meno di venti minuti e non più di un’ora. Dopo la salatura, verrà lavata sotto acqua corrente per due o tre volte, per eliminare completamente il sangue, oppure mettendo la carne ad arrostire su di una graticola in modo tale che il sangue scoli in un recipiente sotto-stante.
Sono permessi quei formaggi cagliati con cagli di animali kosher o con caglio chimico. Viene considerato idoneo quel vino che è seguito dalla spremitura all’imbottigliamento. Sono proibiti tutti i vini usati per culti non ebraici, perché la mensa, la tavola ebraica è simbolo dell’altare. Mangiare è un rito vero e proprio corredato da preghiere di benedizione iniziali e finali.
Malgrado tutte le limitazioni, o forse proprio grazie ad esse, e all’attenzione con cui le donne ebree trattano il cibo, la cucina ebraica è tra le più varie e saporite del mondo. In ogni paese, entro i limiti della kasherut, essa si è adattata ai prodotti commerciali, pur mantenendo quelle usanze invariate nel tempo comuni a tutte le comunità ebraiche. Le vicende storiche e il senso religioso del cibo propri di questo popolo, lo hanno reso custode assoluto delle più antiche e rigide tradizioni che ben poco sono mutate nei secoli.

Alcune feste ebraiche

Lo Shabbat

(PRESENTATRICE) Entriamo in una casa israelita e vediamo come e cosa si prepara per lo Shabbat

(LETTORE) Lo «Shabbat», che significa letteralmente «lo smettere» o più banalmente «riposo», è simbolo di lode e di commemorazione del riposo del Signore e completamento della creazione. Dio, dopo aver creato, nel sesto giorno, l’uomo a sua immagine e somiglianza, nel settimo, «smette di lavorare», che non vuol dire che si riposi, perché Dio non ha bisogno di riposarsi. Lo Shabbat è una delle prescrizioni più importanti della tradizione ebraica ed assomiglia un po’ alla nostra domenica. La norma è tassativa: riposo assoluto. La casa cambia di aspetto come l’arredo e il vasellame, per significare la rigenerazione. Il giorno per gli ebrei comincia al tramonto e quindi il sabato comincia con l’accensione delle luci il venerdì sera, e finisce il giorno dopo, sabato sera, con l’apparizione della terza stella nel cielo. Secondo la tradizione, l’accensione della Menorah, il candelabro a sette braccia, a cura delle donne, avveniva soltanto dopo che era stata stesa sulla tavola una tovaglia bianca. Le candele restavano accese fino a quando non si spegnevano da sole. Per far durare più a lungo la fiamma si applicava allo stoppino un po’ di sale e olio.
Nella Misnah, la raccolta della legge orale ebraica, sono elencate 39 attività proibite in quel giorno, fra cui cuocere cibi, accendere e spegnere un fuoco, macellare, scannare gli animali e mettere sotto sale le carni, impastare la farina e accendere il fuoco. Inoltre non si potevano fare più di trecento passi. Occorreva quindi cucinare la sera prima, ed è per questo motivo che il giorno precedente veniva detto apparatio (si legge apparazio) cioè giorno dei preparativi.
Il piatto principale dei tre previsti dello Shabbat è lo hamin, la «minestra degli ebrei», nota anche col nome di adafina, cioè «cosa calda». Questa zuppa che contiene ingredienti di base, come le uova sode, i ceci e la carne, cui si possono aggiungere il cavolo o altri ortaggi, esala un aroma talmente particolare che a quel tempo si era costretti a camuffarlo, gettando una sardina sul fuoco o bruciando lana, o teste d’aglio davanti alla porta di casa.

(PRESENTATRICE) Ecco siamo arrivati alla festa più importante Pesah ossia la pasqua che tra l’altro ha dei punti di contatto con quella cristiana

(LETTORE) La festa più importante che celebra la liberazione dalla schiavitù dell’Egitto è la pasqua comincia il quattordicesimo giorno di Nisan, corrispondente al nostro marzo-aprile, inizio della primavera, e dura otto giorni, durante i quali si ripercorrono i prodigiosi fatti dell’esodo e della miracolosa liberazione dagli egiziani. Dio stesso ha ordinato a tutto il popolo di ricordare questo fatto per sempre. Pesah significa «passare oltre» e fa riferimento all’angelo della morte che colpisce tutti i primogeniti d’Egitto, compreso quello del faraone, che «passa oltre», che non entra nelle case degli ebrei, contraddistinte dal segno del sangue sulle porte delle case.
Dio ordina di prendere un agnello nato nell’anno senza difetti, di ucciderlo e di offrirglielo, di mangiarlo in piedi, con la cintura ai fianchi e il bastone in mano, pronti a partire verso la libertà.
La festa di pasqua è caratterizzata da una grande cena, chiamata in ebraico Seder, che significa «ordine», presieduta dal capo famiglia. Assomiglia a una specie di liturgia familiare, dove si prega, si mangia secondo un «ordine prestabilito» e si canta. Il più giovane dei commensali, in modo rituale si rivolge al più vecchio, e gli chiede: «Perché facciamo questa festa?» Colui che presiede racconta tutta la storia degli ebrei e della loro memorabile liberazione dalla schiavitù dell’Egitto.

(PRESENTATRICE) Qual era il piatto forte della cena di Pe-sah?
(LETTORE) Durante la cerimonia, un piatto, detto piatto del Seder è parte centrale della cena. Il piatto del seder è di solito decorato, ed ha dipinti tutti i principali simboli di Pesah. Al centro sono poste tre forme di pane azzimo, senza lievito e senza sale per ricordare la concitata e precipitosa fuga dall'Egitto, non c’era tempo per aspettare che il lievito nuovo si formasse. Attorno, nell'ordine (in senso antiorario e - nella tradizione - partendo dall'ingrediente posto di fronte al capofamiglia) vi sono il karpas, solitamente un gambo di sedano che ricorda la corrispondenza della festività di Pesah con la primavera e la mietitura che, in epoca antica, era essa stessa occasione di festeggiamento; un piatto di maror o erbe amare (solitamente un'insalata amara, come la cicoria) che rappresenta la durezza della schiavitù; una zampa arrostita di capretto chiamata zeru'a che rappresenta l'offerta dell'agnello presso il Tempio di Gerusalemme in occasione delle feste di Pesach, Shavuot e Sukkot; un uovo sodo (beitza) in ricordo del lutto per la distruzione del Tempio, e infine una sorta di marmellata preparata con frutta secca, noccioline, e vino (e altri ingredienti dolci, secondo la tradizione familiare) chiamato "haroset" che rappresenta la malta usata dagli ebrei durante la schiavitù per la costruzione delle città di Pit'om e Ramses. Alcuni, specie nell'uso italiano, aggiungono una seconda insalata, più dolce, come la lattuga.
Nel corso del seder vi è obbligo di bere quattro bicchieri di vino, e termina di solito con canti tradizionali. Nella tradizione italiana, i canti sono in italiano, e si ricorda la storia del capretto, resa famosa da Angelo Branduardi in forma ridotta, con il titolo La fiera dell'est, è il conteggio, cantato, da uno a tredici. Uno è ovviamente Dio, tredici gli attributi divini. Due Tavole della Legge, tre Patriarchi, quattro Madri di Israele, cinque libri della Torah, sei libri della Mishanah, sette giorni della settimana, otto giorni della circoncisione, nove mesi di gravidanza, dieci Comandamenti, undici costellazioni (nell'accezione ebraica), dodici tribù.

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