domenica 3 gennaio 2010

Giovanni Pascoli Canti di Castelvecchio

Nebbia

Premessa

Rifìutando ogni compromissione con ciò che è «lontano» (con le sue suggestioni di morte e di pianto e coi suoi paurosi richiami), l’orizzonte delle certezze viene a coincidere con la siepe che recinge la piccola proprietà. Così la nebbia, qui implorata, simboleggia la protezione del privato, dell’egoistica sopravvivenza fra le cose care. A questa visione «piccolo-borghese» il Pascoli offre un riscontro nella sua poetica Il fanciullino:
«A volte, non ravvisando essi [i poeti] nulla di luminoso e di bello nelle cose che li circondano, si chiudono a sognare e a cercare lontano. Ma pur nelle cose vicine era quello che cercavano, e non avervelo trovato, fu difetto, non di poesia nelle cose, ma di vista negli occhi».

METRO Strofe di sei versi ciascuno: nell’ordine, tre novenari, un ternario, un novenario, un senario. Schema: ABCBCA, ADEDEA, ecc- (A si ripete in ogni strofa).

Il testo

Nascondi le cose lontane,
tu nebbia impalpabile e scialba,
tu fumo che ancora rampolli,
su l’alba,
da’ lampi notturni e da’ crolli
d’aeree frane!

Nascondi le cose lontane,
nascondimi quello ch’è morto!
Ch’io veda soltanto la siepe
dell’orto,
la mura ch’ha piene le crepe
di valerïane.

Nascondi le cose lontane:
le cose son ebbre di pianto!
Ch’io veda i due peschi, i due meli,
soltanto,
che dànno i soavi lor mieli
pel nero mio pane.

Nascondi le cose lontane
che vogliono ch’ami e che vada!
Ch’io veda là solo quel bianco
di strada,
che un giorno ho da fare tra stanco
don don di campane...

Nascondi le cose lontane,
nascondile, involale al volo
del cuore! Ch’io veda il cipresso
là, solo,
qui, solo quest’orto, cui presso
sonnecchia il mio cane.


a) Note e parafrasi

Nascondi le cose lontane,
tu nebbia impalpabile e scialba,
tu fumo che ancora rampolli,
su l’alba,
da’ lampi notturni e da’ crolli
d’aeree frane!


1. Nascondi le cose lontane che vogliono ch’ami e che vada!
2. tu nebbia...: il verso rende imitativamente la vischiosità con suoni labiali sordi e sonori (...neBBia mPalPaBile e scialBa)
3. fumo: (metafora) simile a fumo
4. rampolli: ti generi, scaturisci (con idea li continuità). La nebbia sembra continuamente prodursi da residui di temporali notturni
5. crolli d’aeree frane: fragori di tempesta paragonati a un cadere fragoroso e prolungato di materia. Anche qui si nota il fonosimbolismo (cRolli d’aeRee fRane)

Tu nebbia impalpabile e scialba nascondi le cose lontane, tu nebbia come il fumo che stai ancora aggrappandoti, sul cielo dell’alba, venuta da residui di temporali notturni e da crolli di frane dell’aria, che lascino quindi come del fumo della polvere dopo il loro crollo

Nascondi le cose lontane,
nascondi quello ch’è morto!
Ch’io veda soltanto la siepe
Dell’orto,
la mura ch’ha piene le crepe
di valeriane.


1. quello ch’è morto!: in morto non è solo l’idea di «passato, concluso», ma anche l’idea di qualcosa che richiama a pensieri, funebri
2. la mura: il muro di cinta (è voce garfagnigna)
3. valenane: pianta erbacea medicinale con proprietà sedative Tu sempre riferito alla nebbia.

Nascondi le cose lontane, nascondi le persone che sono morte , il cimitero, oppure il mio passato! fa che io possa vedere soltanto la siepe dell’orto, che possa vedere vicino e quindi vicino, di occuparmi solo di cose mie e le mure che sono piene di screpolature create dalla pianta di valeriana-

Nascondi le cose lontane:
le cose son ebbre di pianto!
Ch’io veda i due peschi, i due meli,
soltanto,
che dànno i soavi lor mieli
pel nero mio pane.


1. le cose...: la realtà, il mondo che ci circonda è turbato, sconvolto dal pianto. Il verso sembra alludere alla lacrimae rerum virgiliane, alla concezione di un dolore connaturato alla realtà
2. i soavi lor mieli: i loro dolci frutti –
3. nero mio pane: allusione a un tenore di vita povero

Nascondi tu nebbia le cose lontane; le cose sono ubriache di pianto! Che io, possa vedere soltanto i due peschi nel cortile e i due meli soltanto, che offrono il loro zucchero con il quale si fa la marmellata o il miele di frutta, addolcendo il mio, povero umile pane nero, come quello consumato dai contadini o persone povere

Nascondi le cose lontane
che vogliono ch’ami e che vada!
Ch’io veda là solo quel bianco
di strada,
che un giorno ho da fare tra stanco
don don di campane...


1. che vogliono...: che vogliono che io vada, rispondendo al richiamo degli affetti.
2. quel bianco di strada: quel tratto bianco di strada
3. Stanco: esprime il languore e la malinconia dei rintocchi della campana a morto

Tu nebbia nascondi le cose lontane, che mi lusingano e mi attraggono affinché io esca dal mio guscio, che io veda invece solo quel tratto di strada bianca che mi conduce via per sempre, che un giorno dovrò percorrere quando sarò morto, fra un stando e lento suono di campane

Nascondi le cose lontane,
nascondile, involale al volo
del cuore!
Ch’io veda il cipresso
Là, solo,
qui, solo quest’orto, cui presso
sonnecchia il mio cane.


1. involale al volo del cuore: toglile, occultale allo slancio dell’animo che vorrebbe raggiungerle (evidente l’allitterazione in VoLaLe al VoLo)
2. .solo: solitario (aggettivo che con gli avverbi solo. soltanto connota l’idea di «limitazione esclusiva»).

Tu nebbia nascondi le cose lontane nascondile sottraile al desiderio del cuore che invece vorrebbe volare via. Che io veda soltanto il cipresso solitario, presso al quale sonnecchia il mio cane

Pascoli opere Myricae, Arano

Myricae, Arano

Introduzione

È il primo dei madrigali intitolati L’ultima passeggiata (nucleo originario di Myricae) dove il poeta descrive le impressioni di una giornata trascorsa in campagna, prima di tornare in città e riprendere la scuola. Composto tra il 1885 e il 1886, e pubblicato per la prima volta nel 1886, in occasione delle nozze di Severino Ferrari, Arano entrò a far parte della seconda edizione di Myricae (1892). Una probabile fonte della lirica è stata indicata dal critico Adriano Seroni in un passo dei manzoniani Promessi sposi (cap. IV la pagina iniziale), antologizzato dal Pascoli in Sul limitare:
«A destra e a sinistra, nelle vigne, sui tralci ancor tesi, brillavan le foglie rosseggianti a varie tinte; e la terra lavorata di fresco, spiccava bruna e. distinta né campi di stoppie biancastre e luccicanti dalla guazza».

METRO: madrigale (forma poetica di origine popolare), formato da due terzine di endecasillabi, legate tra loro dalla rima del secondo verso, e da una quartina a rima alternata, secondo lo schema ABA. CBC, DEDE. Le parole in rima della prima terzina sono tra loro allitteranti (filA-rE, frAttE, fumArE); inoltre, la parola finale della prima terzina e quella iniziale della seconda sono legate fonicamente (fumARe, ARano). Leggiamo il testo

Al campo, dove roggio nel filare
qualche pampano brilla, e dalle fratte
sembra la nebbia mattinal fumare,

arano: a lente grida, uno le lente
vacche spinge; altri semina; un ribatte
le porche con sua marra pazïente;

ché il passero saputo in cor già gode,
e il tutto spia dai rami irti del moro;
e il pettirosso: nelle siepi s'ode
il suo sottil tintinno come d'oro.


Nella prima strofa il poeta descrive la campagna autunnale, sommersa nella nebbia mattutina:la ripetizione della erre produce una musica roca, fitta di echi e di richiami, sembra che le parole scorrano per conto proprio, indipendentemente dal loro significato, in un rincorrersi di consonanti e vocali liquide, con fori legami fonici Roggio, filaRE, bRilla, fRAtte, sembRA, fumaRE

Al campo, dove ROggio nel filaRE
qualche pampano bRilla, e dalle fRAt-te
sembRA la nebbia mattinal fumaRE


Al campo: esprime, più che la direzione, la lontananza indefinita del campo: roggio: rossastro pampano: variante popolare (toscana) di pampino - e dalle fratte: dalle siepi; fumare, “vaporare in alto, per il sole che al dirada; si che paia salire dalle fratte” (G, De Robertis)

Al campo, dove nel filare (Nel campo dove nel filare dell’uva), qualche pampano brilla, roggio (qualche pampano delle viti sembra brilla rosso) e la nebbia mattinal sembra fumare dalle fratte (e la nebbia assomiglia ad un fumo che vapora, che sale dalle fratte cioè le siepi)

Nella seconda strofa si descrive il lavoro lento dei contadini che arano: I contadini si muovono lentamente sullo sfondo sullo sfondo silenzioso del campo; l’aria riecheggia di voci e di suoni, ma l’impressione è quella di un’assoluta immobilità e di un assoluto stupore; è questo l’effetto scandito dalle minuziose pau-se, create dalla punteggiatura pause. I due punti dopo arano, la virgola a metà del v. 4 i due punti e virgola del verso 5, i forti enjambement lente / vacche; un ribatte / le porche e della dieresi di pazïente

arano: a lente grida, uno le lente
vacche spinge; altri semina; un ribatte
le porche con sua marra pazïente


arano: con soggetto indeterminato, e con forte rilievo ritmico nel verso. La scansione interna di questo e dei seguenti versi contribuisce a connotare l’idea di lentezza (lente...lente...) porche: strisce di terreno fra due solchi, cumuli di terra fra due solchi poi spianati dal con-tadino (la parola è sentita come tecnicismo rustico) - marra: zappa leggera, per smuovere la terra superficialmente

arano: (là sul campo lontano arano, chi ara? non si sa soggetto indeterminato, saranno i contadini che arano) uno (di quelli che arano, un contadino) a lente grida, spinge le lente vacche; (con lente grida ritmate spinge incita fa muovere le vacche anch’esse lente a causa della fatica di trascinare l’aratro) altri (altri contadini o aiutanti servi ecc. ) semina; (seminano) un pazïente (altro contadino paziente, con cura) con sua marra ribatte le porche (con la sua zappa, richiude le zolle, battendole più volte, non appena il seme è ricaduta dentro il solco tracciato dall’aratro, non è la marra, cioè la zappa ad essere paziente, ma il contadino. Questa è una figura retorica che si chiama zeugma)

Nella terza strofa Entrano in scena gli uccelli, il passero e il pettirosso, che spia-no fuori campo dall’albero e dalla siepe i movimenti degli uomini e degli animali.
Qui la punteggiatura ridiventa normale, coincidendo con la misura del verso; ma al verso 9 ecco un’altra e più vistosa frantumazione della sintassi, con lo stacco improvviso creato dai due punti. Si prepara così la raffinata onomatopea dell’ultimo verso (sottil tintinno) collegata mediante la sinestesia alla brillantezza dell’oro. Un trillo di uccello felice conclude felicemente, questa lirica appartenente al nucleo originario di Myricae, quando ancora l’incupirsi funerario della sua poesia non era ancora comparso all’orizzonte

Ché il passero saputo in cor già gode,
e il tutto spia dai rami irti del moro;
e il pettirosso: nelle siepi s’ode
il suo sottil tintinno come d’oro


che: forse da intendere come tanto che saputo: esperto ~ gode: si compiace, pregustando il cibo ~ 8. e il tutto spia...: all’entrata in scena del passero (e poi del pettirosso) corrisponde una serie fonosimbolica allusiva a piccoli suoni secchi e battiti - moro: gelso - come d’oro: per indicare una limpida risonanza (sinestesia). I suoni dell’ultimo verso Til, tin tin e la sinestesia richiamano l’immagine di una moneta d’oro che caduta per terra produce il caratteristico suono.
Ché il saputo passero in cor già gode, (tanto che, cosicché, il sapiente passero si rallegra già nel suo cuore, perché può approfittare della ghiotta occasione di beccare i semi o i vermi che emergono dalla terra smossa dall’aratro) e il tutto spia dai rami irti del moro; (spiando tutta la scena appollaiato sui rami diritti acuminati del gelso, pianta tipica, che serviva per recitare i campi e per alimen-tare i bachi da seta che si nutrono delle sue foglie) e il pettirosso: (c’è una brusca interruzione del discorso) s’ode nelle siepi il suo sotTIL TIN-TINNo come d’oro (e si senti provenire dalle siepi, l’uccello non si vede, ma si riconosce dal verso tintinnante sottil tintinno è un’onomatopea, si notino le ripetizioni til tin tin, sotTIL TIN-TINNo. Il verso dell’usignolo ricorda il suono di una mo-neta d’oro che cade per terra producendo un suono cristallino. SotTIL TIN-TINNo come d’oro è una sinestesia perché si dice che il verso dell’usignolo che è un suono è d’oro, l’oro non si sente, ma si vede. Quindi si combinano insieme campi sensoriali diversi la vista e l’udito)

Myricae - Novembre

Myricae - Novembre


Questa bellissima lirica è una delle più suggestive della raccolta Myricae. Pubblicata per la prima volta sulla rivista fiorentina “Vita Nuova” nel 1891, mette in risalto l’inganno dei sensi prodotto da una luminosa giornata di Novembre. Qui non c’è la nebbia che avvolge le cose nel suo mistero. ma un cielo limpido e un sole chiaro. Pare di essere in primavera e, istintivamente, si cercano con gli occhi
“gli albicocchi in fiore”
mentre si ha l’impressione di sentire il profumo del biancospino. E’ solo un’illusione: non è arrivata la primavera, ma siamo in autunno avanzato e perciò il pruno è secco e le piante intrecciano sullo sfondo chiaro e sereno del cielo, i rami spogli. Non ci sono nell’aria guizzi di rondini, non ci sono cinguettii festosi, non morbidi prati, ma un cielo vuoto e un terreno gelido e infecondo che risuono sotto i passi del viandante. Intorno c’è silenzio profondo, in cui si avverte appena il fruscio lontano di foglie scrollate dal vento: è l’estate di San Martino; pochi giorni di sole e poi l’inverno: una breve illusione che svanisce in un cupo presagio di morte
Metro tre strofe saffiche formate ognuna di tre endecasillabi e di un quinaria a rima alternata secondo lo schema( ABAb CDCd EFEf)

Gemmea l'aria, il sole così chiaro
che tu ricerchi gli albicocchi in fiore,
e del prunalbo l'odorino amaro
senti nel cuore

Ma secco è il pruno, e le stecchite piante
di nere trame segnano il sereno,
e vuoto il cielo, e cavo al piè sonante
sembra il terreno.

Silenzio, intorno: solo, alle ventate,
odi lontano, da giardini ed orti,
di foglie un cader fragile. È l'estate,
fredda, dei morti.


Parafrasi e commento

Gemmea l’aria, il sole così chiaro
Che tu ricerchi gli albicocchi in fiore,
e del prunalbo l’odorino amaro
senti nel cuore


Note. Che tu ricerchi ... gli albicocchi: testimonia la tendenza pascoliana (teorizzata nel Fanciullino) a indicare le piante col loro nome specifico (contro il generico e inespressivo albero della tradizione letteraria). Prunalbo: biancospinonel cuore: in sinestesia con odorino (l’odore in relazione con un sentimento, come nel San Martino del Carducci:
va l’aspro odor dei vini /1’anime a rallegrar)


Parafrasi Gemmea l’aria, (l’aria è limpida come una gemma. Nelle due proposizioni di questo verso è omesso la è copulativa, non c’è la è con effetti di rapida impressione. Invece di scrivere L’aria è gemmea e il solo è così chiaro)em> il sole (cielo) così chiaro che tu ricerchi gli albicocchi in fiore, (tu è impersonale tu chiunque tu sia volgi intorno lo sguardo cercando gli albicocchi, piante che fanno le albicocche, fioriti come nella bella stagione della primavera. La frase «che tu ricerchi» equivale a «che si ricercano»~ ma il rapporto con l’interlocutore, con un tu dà più forza a questa iperbolica ricerca di primavera. Usa la parola specifica «albicocchi», che indica la natura degli alberi che ha di fronte, confermando questa tendenza a nominare in modo preciso delle cose) e senti nel cuore l’odorino amaro del prunalbo (senti non con l’olfatto perché l’odore oggettivamente non c’è e quindi non si può sentire, ma quest’odore lo senti nel cuore come una traccia dei ricordi, odorino amaro è una sinestesia tra gusto e olfatto). L’odore in relazione con un sentimento, come nel San Martino del Carducci:
va l’aspro odor dei vini /1’anime a rallegrar.
Si veda anche la grande importanza degli odori nel decadentismo in Baudelaire e in O. Wilde)

Ma secco è il pruno, e le stecchite piante
di nere trame segnano il sereno,
e vuoto il cielo, e cavo al piè sonante
sembra il terreno


Ma (ma non è così come sembra. Si oppone all’illusione la realtà) il pruno,(anche qui c’è la nominazione specifica delle cose) è secco e le piante stecchite segnano il sereno, di nere trame (notate l’inversione sintattica l’uso non ordinario delle parole: le piante aride, senza gemme stecchite morte, se si guardano dal basso verso l’alto segnano il cielo sereno con l’intricata trama dei loro rami neri morti) e vuoto il cielo,
(il cielo è vuoto, perché non ci sono voli di rondini o di uccelli) e il terreno sembra cavo (vuoto, morto. rimbombante)
al piè sonante (sonante può essere considerato uno zeugma perché aggioga i due termini piè e terreno, aggettivo può essere applicato al piè e al terreno)

Silenzio, intorno: solo, alle ventate,
odi lontano, da giardini ed orti,
di foglie un cader fragile. È l’estate,
fredda, dei morti.


Silenzio, intorno: (intorno: frase, anche questa, ellittica, manca qualcosa, ma il «c’è» per condensare l’impressione), solo odi (anche qui nel senso di «si ode») lontano, alle ventate ( quando soffia forte il vento) un cader fragile di foglie (un cadere di foglie fragili, fragile viene appliacato al cadere e non alle foglie che effettivamente sono fragili d’autunno. Si veda l’allitterazione della effe) da giardini ed orti. (serie fonosimbolica - foglie, fragile, fredda) che contribuisce alle connotazioni di secchezza. precarietà, morte di questi ultimi versi) È l’estate, fredda, dei morti. (la cosiddetta estate di San Martino. che cade 1’11 novembre, quindi dopo la festività dei Defunti)

Myricae - L’ Assiuolo (testo e parafrasi)

1. Myricae - L’ Assiuolo (testo e parafrasi)

Introduzione

Pubblicata per la prima volta sul “Marzocco” del 3 gennaio 1897, la lirica entrò poi nella quarta edizione di Myricae, inclusa nella sezione «In campagna». Piccolo uccello rapace, simile al gufo, l’assiuolo è chiamato popolarmente in Toscana chiù, per il verso che emette ed è considerato nella poesia pascoliana, dove appare di frequente, come simbolo di morte.
METRO. Tre strofe di sette novenari, a rima alternata, più un monosillabo onomatopeico (chiù). In rima col sesto verso di ogni strofa

Introduzione parafrasi alle singole strofe

L' Assiuolo

Dov'era la luna? chè il cielo
notava in un'alba di perla,
ed ergersi il mandorlo e il melo
parevano a meglio vederla.
Venivano soffi di lampi
da un nero di nubi laggiù;
veniva una voce dai campi:
chiù . . .

Le stelle lucevano rare
tra mezzo alla nebbia di latte:
sentivo il cullare del mare,
sentivo un fru fru tra le fratte;
sentivo nel cuore un sussulto,
com'eco d'un grido che fu.
Sonava lontano il singulto:
chiù . . .

Su tutte le lucide vette
tremava un sospiro di vento:
squassavano le cavallette
finissimi sistri d'argento
(tintinni a invisibili porte
che forse non s'aprono più? . . .);
e c'era quel pianto di morte. . .
chiù . . .


L’assiuolo rappresenta uno degli esiti più alti del simbolismo pascoliano, che (come ha dimostrato G. Contini in un suo famoso saggio) si fonda su una raffinata dialettica di “determinato". e, “indeterminato”.
In apparenza, nulla è più determinato del paesaggio lunare, che emerge nitido e chiaro nella prima quartina: un chiarore perlaceo si diffonde nel cielo e ben definiti sono il mandorlo e il melo, che sembrano ergersi per meglio vedere la luna.
Ma l’invisibilità dell’astro notturno introduce già un elemento di inquietudine, sottolineato dall’interrogazione iniziale; e quell’alba di perla ha qualcosa di impalpabile, che suscita un senso di attesa non privo di turbamento.
Ed ecco i soffi di lampi, silenziosi bagliori che fanno presentire il vento: c’è qualcosa di umano in quei soffi, che suggerisce l’impressione di un’oscura minaccia, anche perché essi provengono da un nero di nubi (e non, come ci si aspetterebbe, da «nubi nere».
Si svela così il significato funebre della lirica, subito confermato da quella sorta di singhiozzo che viene dai campi, il chiù dell’assiuolo: per ora soltanto una voce indefinita, ma che basta a suscitare un incredulo sgomento.

Dov’era la luna? chè il cielo
Notava in un’alba di perla,
ed ergersi il mandorlo e il melo
parevano a meglio vederla.
Venivano soffi di lampi
Da un nero di nubi laggiù;
veniva una voce dai campi:
chiù . . .


Dov’era la luna? La luna non si vede, ma si vede il suo bagliore poiché, dato ché il cielo nuotava in un’alba di perla il cielo è illuminato come una perla, candida da una strana alba chiara, e il mandorlo e il pero si ergono, sia alzano come «in punta di piedi» per vedere meglio o per vedere da dove provenisse questa luce, dove fosse la luna. Dopo un pesaggio lunare lattiginoso. si ritorna sulla terra. Venivano soffi di lampi, bagliori di lampi, fasci di lampi le luci di lampi «soffi di lampi» (sinestesia). da un nero di nubi da un nero fatto di nuvole costituite da nuvole laggiù. Veniva anche un verso una voce non un verso quasi umana dai campi, il verso dell’assiuolo Chiù .

Nella seconda strofa, ritorna per un momento una sensazione di illusoria serenità: le stelle brillano nel cielo, il mare si culla dolcemente; ma lo sgomento prevale ancora una volta, suscitato dall’elaboratissima onomatopea del v. 12 (un fru fru tra le fratte): l’espressione fonosimbolica e pre-grammaticale fru fru trapassa, grazie alla mediazione del tra, nella parola semantica fratte.
Mentre il linguaggio pascoliano fa, così, le sue prime grandi prove, la raffinata allitterazione di F, di R e di T si unisce all’onomatopea per comunicare sensazioni fuggevoli di disagio, che è ora del tutto umano: è un sussulto del cuore, è il ricordo di un lontano dolore, lancinante come un grido.
In perfetta simmetria, anche il verso dell’assiuolo non è più una voce indistinta, ma si è fatto umano, è divenuto un singulto

Le stelle lucevano rare
Tra mezzo alla nebbia di latte:
sentivo il cullare del mare,
sentivo un fru fru tra le fratte;
sentivo nel cuore un sussulto,
com’eco d’un grido che fu.
Sonava lontano il singulto:
chiù . . .


Le stelle rare (poche) lucevano (splendevano) tra mezzo alla nebbia (in mezzo alla nebbia) di latte (biancastra forse tra nubi del cielo): sentivo il cullare (il rumore ritmico ripetitivo) del mare, sentivo un FRu FRu TRa le FRaTTe; (un rumore fra i cespugli forse di uccelli che spiccano il volo, vedi l’effetto onomatopeico ottenuto attraverso l’allitterazione della F, T R) sentivo nel cuore un sussulto,(sentivo il cuore battere sempre più forte, un’emozione forte) com’eco d’un grido che fu. (che mi ricorda un grido lontano che emerge dalla coscienza, forse quello del padre morto molti anni prima «e restò negli aperti occhi un grido» come dice nella poesia X agosto Sonava lontano il singulto: chiù … (si sentiva in lontananza il verso, divenuto ora un lamento umano del chiù.

La terza strofa ci porta in pieno mistero. Sulle vette dei monti trema un sospiro di vento, che fa vibrare l’aria prima immobile: e sia il tremore sia il sospiro infondono un sentimento umano alla natura.
Ed ecco il verso metallico e stridulo delle cavallette, che ricorda il suono argenteo dei sistri egiziani, echeggiante nei riti misterici della dea lside.
La sintassi, già precaria, ora si frantuma, spezzata dall’intervento di una frase tra parentesi, che allude a un mistero di cui non si possiede più la chiave, a porte / che forse non s’aprono più; i puntini di sospensione dicono che non è più possibile un discorso, perché le illusioni sono svanite nel pianto di morte dell’assiuolo.
Il piccolo rapace ha compiuto la sua metamorfosi, da elemento naturale del paesaggio a simbolo funebre.

Su tutte le lucide vette
Tremava un sospiro di vento:
squassavano le cavallette
finissimi sistri d’argento
(tintinni a invisibili porte
che forse non s’aprono più?;
e c’era quel pianto di morte.
chiù .


Tremava (passava una brezza, un respiro di vento) un sospiro di vento Su tutte le lucide vette (sopra le punte degli alberi lucide, illuminate dalla luna) squassavano le cavallette (passano le cavallette che con lo sbattere delle loro ali producono un suono metallico simile a quello dei sistri, antichi strumenti musicali simili a sonagli che venivano utilizzati durante il culto alla dea egiziana Iside) finissimi sistri d’argento (tintinni a invisibili porte che forse non s’aprono più? (i sistri erano come, ricordano il suono dei sonagli, campanelli all’entrata delle porte della morte, che aprivano la strada verso, l’aldilà, ma forse queste porte attraverso le quali si varca la soglia dell’aldilà de dell’immortalità sono chiuse per sempre ); e c’era quel pianto di morte! Chiù.

Modulo per autore : Giovanni Pascoli

A. GIOVANNI PASCOLI

1. Premessa

Fra l’ultimo quarto dell’Ottocento e il primo decennio del Novecento si forma e si pone all’attenzione del pubblico questo originale e complessa figura di poeta, che il Contini definisce «rivoluzionario nella tradizione, ossia a metà strada fra Ottocento e Novecento» e Schiaffini
“Il momento cruciale, il salto del fosso nella storia del nostro linguaggio poetico”

La novità e la singolarità della poesia pascoliana sconcertano non poco i critici contemporaneo, che non riuscirono a trovare una formula per giudicare e definire l’artista, Basti ricordare il dissenso del Croce che ne l 1907 lo definì «Piccolo grande poeta», indicando lo un poeta del frammento e dell’idillio, felicissimo nel cogliere i particolari, ma privo di virtù sintetiche e costruttive, o anche un malato di nervi per le sue figure retoriche e per quella poetica del Decadentismo che Croce non riusciva a capire poiché era di mentalità razionale ed idealistica.
Ma oggi è possibile, considerando complessivamente la sua multiforme attività e tenuto conto delle più recenti e scaltrite indagine critiche, ritenere quella del Pascoli la voce fra le più originali e valide del Decadentismo europeo e in genere della poesia moderna e riconoscerne l’importanza nei rapporti con la vita spirituale dell’Italia contemporanea e negli influssi esercitati sull’esperienza poetica del 900.

I LA VITA

1855 Nasce a S. Mauro di Romagna, ora San Mauro Pascoli in provincia di Forlì, a 35 chilometri dalla città, che conserva ancora la fattoria dei principi di Torlonia nella quale ha lavorato il padre. Quarto di dieci figli ebbe un’infanzia triste, funestata da frequenti lutti.
1867 A dodici anni e studia nel Collegio degli scolopi ad Urbino, Congregazione dei Chierici delle Scuole Pie, donde il nome, che ebbe origine dalla «Scuola Pia» fondata in Italia nel 1597 da S. Giuseppe Calasanzio per l’istruzione gratuita dei figli del popolo e che fu elevata a Ordine religioso da Gregorio XV nel 1621.
In collegio viene raggiunto da una grave notizia. una grande sventura sì era abbattuta sulla sua famiglia: il padre Ruggiero intendente, amministratore di una tenuta del principe Torlonia, viene assassinato il 10 agosto con una fucilata mentre tornava da una festa paesana, senza apparenti motivi, così ritiene il Pascoli siano andate le cose. Ora, da indagini svolte, si pensa invece che un movente sia da ricercarsi nella rivalità con altri o che sia un regolamento di conti nel campo del contrabbando.. Questo episodio segnerà per sempre la vita di Pascoli è sarà da lui richiamato ossessivamente. Dopo il padre perderà molti altri famigliari. e da altri lutti domestici.
Scriverà nelle note a Myricae:
«A mezza strada tra Savignano e San Mauro è questa unica di mia gente e mia, là dove l’11 agosto 1867 (quanti anni! A me pare non ancora tramontato quel giorno) deposero, con la nobile fronte forata e sanguinante, il mio padre, che vi chiamò con la virtù della passione lì a poco anche mia madre, e prima di lei una mia sorella, e poi un fratello e un altro. Tutta una famiglia è lì accolta, ineffabilmente triste, e io vivo con loro, ed essi non lo sanno e non mi vedono: hanno gli occhi troppo pieni di lacrime».
1873 Si iscrive all’Università di Bologna. Maturano in lui idee socialiste e aderì all’Internazionale. Periodo di agitazione e di vita sregolata. Nel 1879, viene arrestato e messo in carcere per quattro mesi e liberato dopo il processo, per aver preso parte alle manifestazioni che seguirono la condanna dell’anarchico Guido Passanante.
Si legge nelle note ai Canti di Castelvecchio:
«Quanta prigione per nulla! O per molto, a dir vero: per sentimenti e idee; Fu nei primordi del socialismo italiano in cui si processavano come malfattori quelli che aspiravano a togliere dal mondo il male, e si condannavano: E così ebbi occasione di meditare profondamente, per due mesi e mezzo di un rigidissimo inverno su la giustizia. Dopo la qual meditazione mi trovai allora assolto e per sempre indignato».
Fu allievo di Carducci a Bologna dove si laureò nel 1882 in Lettere con una tesi su Alceo.
Si dedicò poi, dal 1883, all’insegnamento delle lettere classiche nei licei, quindi del latino nelle Università di Bologna, di Messina, di Pisa; ritiratosi Carducci nel 1905, gli successe alla cattedra di letteratura italiana a Bologna.
Qualche anno prima, nel 1898, rimase sconvolto dal matrimonio della sorella Ida che vive come un tradimento, una profanazione del nido famigliare che aveva costruito con le due sorelle Ida e Maria: Quando Pascoli si fidanzerà con la cugina Imelda Morri, la sorella Maria farà naufragare tale relazione per gli stessi motivi di gelosia.
Amò immensamente la campagna per questo D’Annunzio lo definì “ultimo erede di Virgilio” e tutte le cose semplici della natura, fu assetato di bontà e di giustizia, visse chiuso nella malinconia dei ricordi dell’infanzia e dell’adolescenza, votato soltanto al culto delle lettere.
Le liriche, raccolte definitivamente nei volumi Myricae (I ed. 1891), Primi Poemetti, Canti di Castelvecchio (1903), Poemi Conviviali, Odi ed Inni (1906), “Canzone di re Enzo” (1909), Nuovi poemetti, Poemi italici (1911), testimoniano la vena poetica pascoliana, ma solo poche di esse raggiungono l’aerea compiutezza e la solida architettura dell’opera d’arte. Pascoli coltivò con molto merito, e con successo, la lingua latina e tredici volte vinse il premio internazionale di poesia latina di Amsterdam.
Alla critica letteraria Pascoli si volse ancor giovane allestendo due ammirevoli antologie della poesia latina (Epos, Lyra) e due della poesia e della prosa italiana.
1912 Muore a Bologna, dopo aver celebrato con inni il cinquantennio dell’unità d’Italia, l’anno prima nel 1911 e aver salutato l’impresa libica come l’inizio di una nuova era della storia d’Italia (La grande proletaria si è mossa). Ora riposa a Castelvecchio. Pascoli, frazione del comune di Barga in provincia di Lucca, in Garfagnana, a 5 km. dal nucleo principale. Casa e tomba di Giovanni Pascoli, dichiarati monumenti nazionali.

I Il rapporto con il decadentismo e il simbolismo


L’appartenenza o meno di Pascoli al vasto panorama del Decadentismo italiano è prima di tutto un fatto cronologico: il lavoro letterario e l’operazione culturale pascoliana si collocano tra il 1890 e il primo decennio del Novecento. Ma di certo possiamo anticipare che l’adesione, mai peraltro dichiarata, a un movimento o a un raggruppamento è molto lontana dallo stile di vita pascoliano, che privilegia al contrario l’esperienza della chiusura familiare, degli studi accademici e degli impegni privati. Semmai andrà riconfermato un atteggiamento di crisi nei confronti dei nuovi valori della modernità: Pascoli rimane, per molti aspetti, ancora legato a una funzione tradizionale e romantica dello scrittore. Non si lega a nessun gruppo intellettuale, collabora (ma solo saltuariamente) alla vita delle riviste letterarie dell’epoca, affida alla sua poesia il compito di riscattare e di esorcizzare una condizione psicologica dolorosa, appare infine molto distante dalle possibilità che offre in quegli anni il crescente mercato librario (il suo impegno restò limitato, in questo campo, ad alcune fortunate antologie scolastiche). Pascoli - scrive Leone de Castris (Il decadentismo italiano, Bari, Laterza, 1989, p. 10) - realizzò “altrove i riferimenti e i modelli della sua funzione di poeta: fuori della realtà ufficiale dell’Italia di fine secolo, tra un mondo campestre stilizzato in funzione di una salvaguardia dell’innocenza, della difesa da un ordine sociale che sembra atterrire e nevrotizzare pure le umili creature della natura, e una fuga astrale densa di cupi presagi o un’antichità destoricizzata nel trasalimento popolare e moderno che la increspa e l’assilla”.
Alla fine dell’Ottocento il movimento della Scapigliatura cercò di porre le basi di una completa rilettura della funzione dell’artista nel contesto sociale: certamente un elemento di forza dei giovani scapigliati fu quello della rottura insanabile rispetto al conformismo borghese della tradizione romantica e risorgimentale, un atteggiamento su cui pesarono non poco le influenze del dibattito culturale francese, e parigino in particolare. L’artista vive dunque un’esistenza separata e contraddittoria, almeno questo è il messaggio che traspare da Les fleurs du mal di Baudelaire e dai testi dei più giovani Rimbaud e Verlaine, collocandosi in una zona d’ombra nella quale tutti gli antichi privilegi sono caduti (Baudelaire parlava a questo proposito di perdita dell’aureola, in una famosa prosa di Spleen de Paris). Il poeta andrà assumendo via via atteggiamenti diversificati, ma comunque non più inclini alla tradizione: anzi la rottura nei confronti della tradizione e del conformismo borghese sembrano alcuni dei motivi dominanti della stagione simbolista francese. Ma il caso dell’esperienza italiana assume significati completamente originali: in Italia, scrive ancora Asor Rosa, “non c’è una vera e propria rivoluzione decadente, se non come estenuazione, degradazione, esasperazione, filtraggio dell’elemento classicista, e al tempo stesso come suo adattamento, in termini linguistici e ideologici, ad uso sociale di massa”.
Di fronte alla tradizione classicista e ai modelli celebrati dalla poesia carducciana, nemmeno Pascoli e D’Annunzio seppero opporre un secco rifiuto, pur andando al di là del semplice segno impressionistico che Carducci aveva rappresentato. Un elemento di novità fu invece quello di manifestare una crisi e un distacco dal rigido schematismo scientifico introdotto dalla cultura positivistica. È vero ad esempio che il positivismo pascoliano filtrava nel linguaggio poetico sotto la veste di una lingua tecnica e specifica, spiccatamente gergale, quella che Gianfranco Contini definiva lingua post-grammaticale, ma la componente ideologica di questo atteggiamento restava decisamente coerente a una poetica dell’irrazionale, a una radicale messa in crisi di tutte le ideologie dominanti. E da questo punto di vista, l’utilizzo di un certo linguaggio può essere sintomatico di una concezione del mondo. “Quando si usa un linguaggio normale, vuol dire che dell’universo si ha un’idea sicura e precisa, che si crede in un mondo certo, ontologicamente molto ben determinato, in un mondo gerarchizzato dove i rapporti stessi tra l’io e il non-io, tra l’uomo e il cosmo sono determinati, hanno dei limiti esatti, delle frontiere precognite. Le eccezioni alla norma significheranno allora che il rapporto fra l’io e il mondo in Pascoli è un rapporto critico, non è più un rapporto tradizionale”.

II La visione del mondo

Il male il mistero e il rifiuto della lotta La visione del Pascoli espressa soprattutto nei suoi testi in prosa si presenta immobile senza svolgimenti sviluppi o evoluzioni, chiusa nel cerchio di una sofferta autobiografia,
Il tema centrale è il senso del mistero tipico tema del decadentismo, che domina il cosmo e avvolge l’esistenza sulla terra chiamata nella nota lirica X agosto
«atomo opaco del male»;
il positivismo, la scienza non è più in grado di decifrare e comprendere questo mistero:
«Tu sei fallita o scienza; ed è bene: ma sii maledetta che hai rischiato di far fallire l’altra La felicità tu non l’hai data e non la potevi dare ebbene se non hai distrutta, hai attenuata oscurata amareggiata quella che ci dava la fede».
L’uomo è un essere spaurito, regredito a fanciullo, vulnerabile. Il male è misteriosamente connaturato alla storia degli uomini, come dolore o come possibilità di degradazione e di imbestialimento. L’uomo quindi si rifugia in un suo nido, ritorna alle buone cose, alla natura “madre dolcissima”. Il nido è un tema fondamentale, un nodo di affetti, che si è sfasciato nella sua infanzia dopo la morte del padre, e che ha tentato, in tutti i modi di ricostruire.
Da qui nasce il messaggio pascoliano. quello che si può leggere ne I due fanciulli che durante il giorno litigano da venuta la sera dimenticano ciò che è successo e la madre li scopre dormienti uno accanto all’altro fraternamente abbracciati. Questa pacificazione fra gli uomini riguarda i popoli e le classi sociali. dopo i suoi trascorsi socialisti, per lui quindi la lotta di classe disgrega, mina alle fondamenta il nucleo sociale maggiore : la nazione.
Quindi il tema del nido si può intendere in due modi: come chiusura affettiva del poeta protetto nella propria famiglia che faticosamente si era costruito, ma anche chiusura alla storia e all’impegno sociale. Inoltre il nido è quello della sua famiglia questo nodo di affetti importantissimo si allarga fino all’idea nazionale. Il suo orizzonte quindi va gelosamente protetto come possiamo vedere in Nebbia o nel cantuccio ne L’ora di Barga

III La poetica de Il fanciullino

Il Fanciullino I venti capitoli del discorso in prosa de Il Fanciullino. costituiscono la sinesi più chiara e coerente della poetica di Pascoli. La forma definitiva è quella che si legge in Pensieri e Discorsi del 1907, ma la pubblicazione dei primi capitoli risale al 1897, sulla rivista fiorentina “Marzocco” di gennaio-aprile.
Il discorso procede con intonazione famigliare e col ritmo frantumato tipico della prosa parlata del Pascoli e coinvolge un interlocutore scolaro con argomentazioni semplici e in po’ artificiosamente ricondotte al livello dell’intuizione puerile.
Ragionando sulla poesia, nel saggio Il fanciullino, il Pascoli propone i termini essenziali della sua visione; nel mondo rappresentato come sistema misterioso, il poeta è diventato un fanciullo inconsapevole eppure dotato di intuizioni rivelatrici, con un atteggiamento di fronte al mondo di verginale stupore di “primitivo”. La condizione della poesia è la condizione stessa dell’infanzia.
Questo Fanciullino si trova in ognuno di noi anche se può smarrirsi la sua voce nei travagli della vita
Il suo spazio poetico è costituito dalle cose vicine, umili quotidiane. La poesia infatti è nelle cose, nascosta e occulta accessibile solo da parte di un interprete privilegiato come il fanciullo. Ma la scoperta dell’essenza poetica non ha nulla di razionale, e non produce comunicazione, ma piuttosto rivelazione per quanto vi è d’imprevedibile, di sorprendente.
La parola del poeta è discordante e dissonante con la nozione comune delle cose, perchè vengono viste dal fanciullino con occhi nuovi, non logici, ma pre-logici, mitici : scopre relazioni e analogie arcane fra gli oggetti, scopre particolari che nessuno riuscirebbe ad avvertire. Nel fanciullino Pascoli si sofferma a lungo su questo tema della dissonanza poetica, richiamandosi per esempio al messaggio mansueto e pacificatore di Virgilio in tempi di discordia e di guerra, o al dono della poesia omerica di evocare - proprio nel momento più tragico “quel particolare puerile che ti fa sciogliere in lacrime” Torna anche a ribadire il suo ideale di estraneità alla lotta, alla logica cattiva della storia, alle competizioni fra le classi.
Con le sue argomentazioni che sembrano a volte puerili il Pascoli esprime una fondamentale consonanza, sintonia con le poetiche del decadentismo europeo. Il suo poeta non ha “ruolo” è sottratto a compiti storici, è esonerato dall’impegno del vate, del pensatore e del persuasore, che con frasi tribunizie ammalia il popolo, anche se Pascoli crede al messaggio poetico come consolatore e dagli effetti umanitari, ma il poeta non deve giungere a questi effetti di proposito “non deve farlo apposta”. E’ anche simbolicamente il poeta, interprete di una cifra misteriosa di una realtà che sfugge al dominio razionale, tramata di arcane analogie e corrispondenze.
Implicito nel rifiuto di ogni compromissione con la storia è il tema della poesia “ senza aggettivi”, o della poesia pura, e non arcadica, verista o simbolista, è pura nel suo riprodursi a distanza di millenni. Il discorso sul linguaggio poetico ha invece caratteri più specifici. e offre la vera chiave di accesso alla dimensione espressiva della poesia pascoliana. Il linguaggio del poeta-puer consiste soprattutto nella «nomimazione delle cose», «è l’Adamo che mette il nome a tutto ciò che vede e sente» o il vecchio Omero che vede «tutto nuovo e bello». Il critico Renato Serra ha osservato che il mondo pascoliano «si trova, se così si può dire, al di fuori della letteratura, e consiste tutto di cose. o estrerne o interne; che di per sè sono naturalmente poetiche». Fuori della convenzione letteraria, sempre esclusiva e generalizzante, le cose anche minime dovranno vivere in virtù dei loro nomi.
Nel Fanciullino il Pascoli pone, come fortissimo elemento di rottura nei confronti della tradizione italiana, petrarchesca e aulica, il problema della nominazione specifica di piante, animali e attrezzi e cose: «Pensate ai fiori e agli uccelli, che sono dei fanciulli la gioia più grande e consueta: che nome hanno? S’ha sempre a dire uccelli, di quelli che fanno tuttavì esempio i di quelli che fanno croco? Basta dir fiori e fioretti, e aggiungere magari, vermigli e gialli, e non far distinzione tra greppo coperto di margherite e un prato gremito di crochi?»


I LE OPERE - testo dalla Prosa del Fanciullino

a) Primi paragrafi (I)

E’, dentro noi un fanciullino che non solo, ha brividi, come credeva Cebes tebano che primo in sè lo scoperse (...)

b) I poteri del fanciullino, poeta paragrafo (III)

Egli è quello dunque, che ha paura al buio, perchè al buio vede o crede di vedere, quello che alla luce sogna o crede di sognare, ricordando cose non vedute;
quello che parla alle bestie, agli alberi, ai sassi, alle nuvole, alle stelle. che popola l’ombra di fantasmi e il cielo di dei. Egli è quello che piange e ride senza un perchè, di cose che sfuggono ai nostri sensi e alla nostra ragione, Egli è quello che nella morte degli esseri amati esce a dire quel particolare puerile che ci fa sciogliere in lacrime, e ci salva. Egli è quello che nella gioia pazza pronunzia, senza pensarci, la parola grave che ci frena. Egli rende tollerabile la felicità e la sventura, temperandole d’amaro e di dolce, e facendone due cose ugualmente soavi al ricordo. Egli fa umano l’amore, perchè accarezza esso come sorella (oh! il bisbiglio dei due fanciulli fra un bramire di belve), accarezza e consola la bambina che è nella donna. Egli nell’interno dell’uomo serio sta ad ascoltare, ammirando le fiabe e le leggende, in quello dell’uomo pacifico fa echeggiare stridule fanfare di trombette e di pive, e in cantuccio dell’anima di chi non crede, vapora d’incenso l’altarino che il bimbo ha ancora conservato da allora. Egli ci fa perdere tempo quando noi andiamo per i fasti nostri, chè ora vuol vedere la cinciallegra che canta, ora vuol cogliere il fiore che odora, ora vuol toccar la selce che riluce. E ciarla intanto senza chetarsi mai; e, senza lui , non solo non vedremmo tante cose a cui non badiamo per solito, ma non potremmo nemmeno pensarle e ridirle, perchè egli è l’Adamo che mette il nome a tutto ciò che vede e sente. Egli scopre nelle cose le somiglianza e relazioni più ingegnose. Egli adatta il nome della cosa più grande alla più piccola. e al contrario: e a ciò lo spinge meglio stupore che ignoranza, e curiosità meglio che loquacità: impicciolisce per poter vedere, ingrandisce per poter ammirare.

c) Cap: VII La prosa del fancilullino

In questo capitolo, il Pascoli definisce la sua idea di poesia pura, «senza aggettivi» e svincolata da sentimenti di persuasione e di propaganda. Ma allo stesso tempo sottolinea l’utilità sociale della poesia, come afflato umanitario e fraterno e forza pacificatrice. Notevole è l’accento posto sulla dimensione del piccolo e del vicino. in una prospettiva che privilegia la chiusura intimistica.

(...) la poesia in quanto poesia, la poesia senza aggettivo ha una suprema utilità morale e sociale (...) Chi ben consideri, comprende che è il sentimento poetico il quale fa pago il pastore nella sua capanna. (:...) Per me altro, altro è sentimento poetico, altro è fantasia: la quale può essere bensì mossa e animata da quel sentimento , ma può anche non essere: Poesia è trovare nelle cose, come ho a dire? il loro sorriso e la loro lacrima, e ciò si fa da due occhi infantili, che guardano semplicemente e serenamente di tra l’oscuro tumulto della nostra anima..
A volte, non ravvisando essi nulla di luminoso e di bello nelle cose, che li circondano, si chiudono a sognare e a cercare lontano. Ma pur nelle cose vicine era quello che cercavano e non avervelo trovato, fu difetto. non di poesia nelle cose, ma di vista negli occhi.
(...) Or dunque intenso il sentimento poetico è di chi trova la poesia in ciò che lo circonda, e in altri soglia spregiare, non di chi non la trova lì e deve fare sforzi per cercarla, altrove. E sommamente benefico tale sentimento, che pone un soave e leggiero freno all’instancabile desiderio, il quale ci fa perpetuamente correre con per la via della felicità.
(...) Già in altri tempi vide un Poeta [si tratta di Virgilio] (io non sono nemmeno degno di pronunziare il tuo santo nome o Parthenias!), [da parthenos, vergine, pura,] vide rotolare per il vano circolo della passione le quadrighe vertiginose, e quei tempi erano simili a questi, e balenavano all’orizzonte la conflagrazione del mondo in una guerra di tutto contro tutti e d’ognuno contro ognuno, e quel Poeta sentì che sopra le fiere e i mostri aveva ancora più potere la cetra di Orfeo che la clava d’Ercole. E fece poesia senza pensare ad altro, senza darsi arie di consigliatore, di ammonitore, di profeta del buono e del malaugurio: cantò per cantare. l’effetto del suo canto grande fu certo se dura sino ad oggidì, vibrando con dolcezza nelle nostra * irrequiete. O rimatori di frasi tribunizie, che escludete dal tempo presente ogni poesia che non sia la vostra, vale a dire escludete la POESIA, ditemi; Era o non era al suo posto, nel secolo d’Augusto, il cantore delle Georgiche? Sì, non è vero Egli insegnava ad amare la vita in cui non fosse lo spettacolo nè doloroso della miseria nè invidioso della ricchezza; egli voleva abolire la lotta fra le classi e la guerra fra i popoli. Che volete voi, o poeti socialisti, che dite cose tanto diverse e le dite diversamente da lui?

Myricae (in generale)

1. Introduzione

Le vicende del testo Complessa è la vicenda editoriale di Myricae (tamerici, piccoli arbusti), la prima raccolta delle poesie pascoliane, che contò ben nove edizioni, dalla prima del 1891 all’ultima del 1911. I mutamenti, da un’edizione all’altra, riguardarono sia il numero dei componimenti (dalle 22 liriche della prima edizione del 1891 alle definitive 156 liriche dell’edizione del 1900) sia l’ordine interno e la distribuzione in sezioni (appena tre in Myricae 1892, quindici in Myricae 1897). Particolarmente importante è l’edizione del 1894, in cui diventa prevalente il tema funerario, cioè la celebrazione elegiaca dei lutti familiari, «rimossi» nelle prime due edizioni, quando il poeta non credeva ancora di dover porre al centro del proprio universo artistico il proprio «romanzo familiare». Il titolo è preso da Virgilio
«arbusta iuvant humilesque Myricae»,
esclusa la negazione iniziale «non ommes» ripete il secondo verso della IV Egloga ribaltandone il senso:
«piacciono gli arbusti e le basse tamerici».
Le tamerici vengono a significare gli umili oggetti dell’universo agreste. molto amati da poetae anche dallo stesso Virgilio, simbolo di una musa minore, agreste e pastorale.
Dedica L’opera è dedicata alla memoria del padre, si compone per successive elaborazioni, dal 1891 al 1903.
Nella prefazione del 1894 Pascoli designa i brevi componimenti di Myricae come
«frulli d’uccelli, stormire di cipressi, cantare di campane»;
e in effetti, ad una prima lettura, la raccolta appare come il diario di una serena giornata trascorsa in campagna, a diretto contatto con i canti degli uccelli, i lavori agricoli, il trascolorare delle ore (non a caso, Dall’alba al tramonto è il titolo di una delle sezioni dell’opera). Ma il lettore non tarda ad accorgersi che l’idillio georgico di Myricae è percorso da riferimenti inquietanti: la campagna si popola di luci sinistre e di minacciosi presagi ed è contemplata con un atteggiamento visionario e onirico. Anche il linguaggio, con la serie di vocaboli tecnici attinti dalla botanica e dalla zoologia (soprattutto dall’ornitologia) sembra a prima vista aderire agli aspetti più semplici della realtà campestre e del mondo familiare. Su questo apparente verismo di situazioni, descritto lessicalmente con precisione, interviene però una vasta gamma di voci che evocano le cose attraverso i puri suoni: è questo l’inconfondibile linguaggio pascoliano, definito da G. Contini «fono-simbolico» o «pre-grammaticale», che si giova di sorprendenti onomatopee e di fulminee analogie.
Lo sperimentalismo della raccolta risulta inoltre dalla varietà degli schemi metrici impiegati: terzine di endecasillabi o di settenari, strofe di ottonari o di novenari, quartine od ottave di endecasillabi, strofe di sei endecasillabi, strofe saffiche, ballate, madrigali. Tale ricchezza di sperimentazione linguistica e metrica induce a considerare ( sulla scorta di un lucido saggio di P.V. Mengaldo) le Myricae come un’opera autonoma e ben individuata, la più originale, insieme ai Poemetti, della produzione pascoliana.
Il nucleo centrale di Myricae è costituito della sezione L’ultima passeggiata, dove il quadretto di tipo veristico di Arano, cede subito il posto al bozzetto autunnale, intriso di una struggente malinconia, di Lavandare. Che al poeta sia del tutto estraneo il paesaggio urbano, è dimostrato dal madrigale La via ferrata, dove il treno (che tanta parte aveva nella poesia carducciana) si riduce a una via ferrata che attraversa la campagna con il suo fascio di fili metallici, i quali - conclude Pascoli con un famoso endecasillabo - «squillano, immensa arpa sonora, al vento».Esempi stupendi dell’impressionismo visionario di Pascoli sono le poesie Temporale e Il lampo, che dipingono una natura sconvolta e tragica, dinanzi alla quale l’uomo avverte la precarietà del suo destino: il fenomeno naturale diviene così il momento di un’«illuminazione» sulla realtà più profonda delle cose e della vita umana.
Al centro di Myricae domina il tema dei lutti familiari, narrato soprattutto nella lirica d’apertura, Il giorno dei morti: un vero e proprio poemetto, dove il poeta contempla, quasi in un lucido delirio, le tombe dei suoi cari morti e immagina che essi lamentino le loro sofferenze fisiche, dalle quali sono afflitti anche dopo la morte, e deplorino l’abbandono in cui i vivi li hanno lasciati. Aggressivi e dolenti, aspri e queruli, i morti di Pascoli sono presenze spettrali, al limite dell’orrore, come appare da questi versi, dove la lirica raggiunge il suo vertice visionario:
«Io vedo, vedo, vedo un camposanto, / oscura cosa nella notte oscura: / odo quel pianto della tomba [...1 Piangono. lo vedo, vedo, vedo. Stanno / in cerchio, avvolti dall’assidua tomba».
Con questa sua peculiare religione dei morti, Pascoli richiama i lettori dei suoi versi alle antiche radici dell’Italia contadina, legata al culto dei morti, e tenta di esorcizzare, con la liturgia del pianto, il male dominante nel mondo. È però inevitabile un cedimento al sentimentalismo, in un tempo in cui dura, dal 1886, il grande successo del Cuore di De Amicis: ed ecco che Pascoli insiste morbosamente sul tema della mortalità infantile (un fenomeno di indubbia verità sociologica) o della sofferenza dei bambini in poesie come Il morticino e Il rosicchiolo e in quelle della sezione Creature, tra le quali è Orfano, la lirica più famosa del gruppo. Purtroppo, Orfano è una poesia logorata dall’eccessivo consumo scolastico, come accade per il celeberrimo X agosto, sempre ammirato per il sapiente gioco di analogie. Presente nelle poesie citate e in tante altre, il tema dei morti raggiunge forse il culmine lirico in due poesie della sezione In campagna: L’assiuolo la rievocazione di una notte lunare la cui pace è insidiata dal «pianto di morte» di un piccolo uccello rapace, e Novembre, dove una serena giornata novembrina ricorda per un momento la lontana primavera, ma l’illusione è presto smentita dai rami spogli e dal cielo senza voli.

2. Lo stile

Stile Le poesie, prevalentemente, sono brevi, lo stile dimesso; si assiste via via alla formazione di un diario interiore del poeta, intimista e malinconico; i sonetti “cavallereschi”, popolati da visioni oniriche, sono seguiti da paesaggi autunnali e notturni dove il Pascoli pare distaccarsi dalla vita. Il dolore entra a far parte del paesaggio, in un alternarsi di dolcezza e tristezza che cerca una corrispondenza tra il sentire dell’autore e le cose che lo circondano.
Vi si possono in ogni modo distinguere due sviluppi fondamentali: quello della memoria, dell’elegia legata ai simulacri del mondo dell’infanzia e alla dolce e ossessiva onnipresenza dei morti; e quello più propriamente agreste e rusticale, con diffusi richiami al lavoro, alla vita domestica, al colore del paesaggio, al ritmo delle stagioni, talvolta con riecheggiamenti il canto popolare.
La visione si focalizza saltuariamente nell’Io del poeta, che continuamente si spersonalizza nel breve racconto fiabesco, nel frammento parlato, nel bozzetto idillico, oppure - quando non si tratta di memoria e di elegia - si assume la semplice funzione di registrare impressioni visive e uditive.le prospettive in Pascoli tendono a moltiplicarsi ed ad alterarsi, col risultato di un diffuso relativismo di valori e di proporzioni.
L’operazione poetica teorizzata nel Fanciullino, dove si parla della singolare facoltà del poeta- puer di “impicciolire” le cose grandi e di “ingrandire” le cose piccole, è constatabile in numerosi componimenti,
Nel sonetto il Bove si dà l’esempio di un’ottica deformata del paesaggio, del cielo, degli uomini. In altri casi sembra dilatarsi il microcosmo delle cose umili, o il fenomeno grande e pauroso ridursi a percezioni domestiche:

Passò scrosciando e sibilando il nero
nembo: or la chiesa squilla; il tetto rosso
luccica; un fresco odor dal cimitero
viene, di bosso.


Il mondo di Myricae è popolato di cose e di immagini, l’analitica nominazione delle cose. piante animali, strumenti di lavoro, arredi domestici, farebbe pensare ad un’attitudine realistica del Pascoli, se non sapessimo che questa nominazione fa parte delle magiche facoltà del fanciullino, della sua disposizione ad attrarre il mondo nella sfera del proprio stupore. In realtà il Pascoli non descrive ma, come dicevamo, registra impressioni. Un aspetto tipico dell’impressionismo di Myricae è la composizione a macchie di colore:
Nel campo mezzo grigio e mezzo nero... (Lavandare)


Un bubbolio lontano...
Rosseggia l’orizzonte,
come affocato, a mare;
nero di pece, a monte,
stracci di nubi chiare:
tra il nero d’un casolare:
un’ala di gabbiano.
(Temporale)


Tuttavia la forza innovativa del libro investe soprattutto le strutture linguistiche:

a) Novità linguistica

Usa un linguaggio
pre-grammaticale. è il linguaggio di suoni dei bambini che usano un linguaggio tutto loro personale
grammaticale: quello normalmente usato nella comunicazione interpersonale e letteraria, che presuppone una visone del modo sicura razionale senza incertezze
post-grammaticale, introducendo dei termini nuovi specifici che appartengono, alle lingue speciali devono ancora entrare nel vocabolario nell’uso comune es: laveggio, zeppola, necci, ballotte, vincigli

3. Il lessico, ampliato considerevolmente rispetto alla tradizione letteraria che si rifa’ a Petrarca che usa un lessico povero e aristocraticamente selezionato. In Myricae il vago e l’infinito lascino il posto alla determinazione specifica. Liquidata la convenzione platonica degli alberi, dei fiori, degli augelli, una vasta terminologia botanica e zoologica e ornitologica, irrompe nel mondo della poesia Novità anche per gli oggetti nominati: piccole cose, presenze alternative, presenze umili, accanto a piante nobili. inoltre una grande immissione di termini gergali, soprattutto legati al lavoro dei campi

a) Novità strutturale

Le sue poesie rispecchiano la sua visone del mondo e che vede la natura come un mistero da penetrare, non attraverso le categorie logiche, scientifiche del Logos, come era nella tradizione ma in forme nuove che infrangono l’ordine logico, la coerenza fra il prima e il dopo, congruenza fra i vari aspetti delle cose, la nettezza di disegno e di definizione cioè le regole d’oro della poesia tradizionale sino a Carducci cioè della costante classico-razionalista della poesia italiana ed europea. Pascoli è il poeta anticlassico per eccellenza.
Dice Barberi Squarotti
«Narrare per allusioni, riprese spesso foniche dove il nucleo del discorso non è mai completamente esplicitato, narrare per analogie verbali, per catene di ripetizioni i trama. La parola gira intorno senza amai affrontare il discorso e chiarirlo appieno, lasciando un margine d’ombra più o meno vasto d’ombra, di suggerito, di allusivo, in modo da rinviare sempre a qualcosa che è oltre la parola stessa (..) narra per improvvise illuminazioni, per dichiarazione di esistenza di oggetti disparati. Opera vertiginosi salti di prospettiva da oggetto a oggetto, dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande e viceversa. i fenomeni sono tenuti insieme da una trama segreta, allusiva che rimanda sempre a qualcosa prima e dopo il detto, dando il senso di una vicenda simbolica che non conosce soste ne arresti né soluzioni di continuità»

2. Sintassi processo di frantumazione di scadimento del tessuto sintattico, evidente specialmente nei componimenti d’impressione: elissi, assenza del verbo, accostamento di percezioni separate, ma anche il quelli in cui si riproduce il parlato nelle sue sospensioni emotive. Prevale quindi la paratassi

St! un rumore... ai labbri ti si porta
la penna, un piede dondola... Che cosa?
Nulla: un tarlo, un brandir lieve di porta...
Oh! mamma dormi e sogna... che sei sposa.
(Un rumore)

b) Novità metrica

Pascoli introduce una novità rispetto alla tradizione, poiché usa i generi metrici della tradizione ma li rinnova dall’interno, sottoponendo le tensioni e forzature. Quando il Pascoli abbandona il ritmo del canto facile e della filastrocca popolare, i suoi versi possono presentare difetti o eccedenze di misura;
Tra gli argini su cui mucche tranquilla-
mente pascolano....
(La via Ferrata)

4. Figure Retoriche

Fonosimbolismo La novità più rilevante della rivoluzione di Myricae la parola diventa strumento imitativo del suono , non limitata alla onomatopea, ma estesa alle figure dell’assonanza e dell’alitterazione. canti di uccelli, rintocchi di campane, sequenze di echi e di voci e altre più vaghe e segrete risonanze costituiscono, dopo questo primo libro, un segno distintivo della poesia del Pascoli.

Verifica storia Prima guerra mondiale

IPSSAR «GIUSEPPE MAFFIOLI» CASTELFRANCO VENETO
a.c. 2009-2010 – CLASSE V .......................
VERIFICA PRIMA GUERRA MONDIALE

NOME ....................................
COGNOME .................................
DATA ....................................


1. Il 28 giugno 1914 a Sarajevo fu ucciso
a) l’imperatore austriaco Francesco Giuseppe
b) l’imperatore austriaco Carlo I
c) l’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono d’Austria
d) l’imperatore tedesco Guglielmo II, in visita all’Impero austro-ungarico

2. Una delle principali cause della prima guerra mondiale fu
a. la secolare rivalità fra l’Austria e la Russia per il predominio nella Penisola balcanica
b. la rivalità coloniale fra l’Italia e la Russia
c. il desiderio di rivincita dei Francesi nei confronti degli Inglesi
d. la presenza di varie nazionalità all’interno del Regno di Gran Bretagna

3. Il primo conflitto mondiale fu una lunga guerra di posizione perché
a. gli eserciti si spostavano rapidamente da un luogo all’altro
b. gli eserciti nemici si fronteggiavano in condizioni di sostanziale equilibrio, usando le trincee
c. era particolarmente curata la posizione dell’artiglieria e delle mitragliatrici
d. a ogni soldato era assegnato il posto di combattimento più adatto alle sue caratteristiche

4. Quando iniziò la guerra mondiale, i sostenitori della neutralità italiana furono
a. alcuni intellettuali, come Gabriele D’Annunzio e Giovanni Papini
b. gli alti ufficiali dell’esercito e i frequentatori dell’ambiente di corte
c. gli irredentisti e i nazionalisti
d. i liberali, guidati da Giovanni Giolitti, i cattolici e i socialisti

5. L’Italia dichiarò guerra all’Austria-Ungheria il
a. 28 luglio 1914
b. 24 maggio 1915
c. 4 agosto 1914
d. 6 aprile 1917

6. La Strafexpedition (spedizione punitiva) fu effettuata
a. dalle truppe austro-bulgare contro la Serbia, che fu occupata
b. dagli Austriaci contro gli Italiani; permise alle truppe austriache di occupare Asiago
c. dai Tedeschi contro i Francesi a Verdun
d. dai Tedeschi contro i Russi presso i Laghi Masuri

7. La battaglia della Somme (giugno-settembre 1916)
a) permise ai Russi di fermare l’avanzata dei Tedeschi nel loro Stato
b) segnò la sconfitta definitiva dell’esercito austriaco
c) consentì all’Intesa di tenere il fronte francese, ma costò un milione di vittime
d) consentì agli Imperi centrali di respingere l’attacco francese, limitando le perdite di uomini

8. Gli Stati Uniti d’America entrarono in guerra a fianco dell’Intesa perché
a. la guerra sottomarina dei Tedeschi danneggiava i loro commerci con l’Inghilterra, la Francia e l’Italia
b. volevano difendere il regime dello zar in Russia
c. il loro esercito doveva sopperire alle forti perdite subite dagli Alleati
d. in caso di vittoria desideravano partecipare alla spartizione dell’Austria e della Germania

9. Il 24 ottobre 1917 l’esercito italiano subì una gravissima sconfitta a
a. Vittorio Veneto
b. Gorizia
c. Asiago
d. Caporetto

10. Nell’ottobre del 1917, in Russia era in corso
a. la rivoluzione che consentì ai comunisti, guidati da Lenin, di assumere il potere
b. la controffensiva dell’esercito, che fece prigionieri ben 400000 soldati nemici
c. il consolidamento del regime zarista
d. la trattativa per la pace separata con gli Stati Uniti d’America

11. L’Accordo di Brest-Litovsk fu siglato fra
a. la Gran Bretagna e la Germania
b. il governo russo, nato dalla rivoluzione d’ottobre, e gli Imperi centrali
c. l’Italia e l’Austria-Ungheria
d. il governo russo, nato dalla rivoluzione d’ottobre, e la Francia

12. Il cosiddetto «fronte interno» era costituito
a. dalla linea di trincee più lontana dallo schieramento nemico
b. dai camminamenti protetti, che conducevano i soldati dalle retrovie alla prima linea
c. da tutta la popolazione mobilitata per garantire ai militari le risorse necessarie
d. dai soldati che combattevano nelle trincee

13. L’esercito italiano ottenne la definitiva vittoria sugli Austriaci, a Vittorio Veneto, il
a. 3 marzo 1918
b. 29 ottobre 1918
c. 3 novembre 1918
d. 11 novembre 1918

14. Durante la Conferenza di Pace di Parigi le decisioni più importanti furono prese
a. dai rappresentanti delle quattro potenze vincitrici
b. dai rappresentanti di tutti gli Stati coinvolti nel conflitto
c. dal presidente degli Stati Uniti d’America, Woodrow Wilson
d. dai rappresentanti della Germania e della Gran Bretagna

15. Alla conclusione delle trattative di pace l’Italia ottenne
a. tutti i territori promessi col Patto di Londra del 26 aprile 1915
b. il Trentino, la Venezia Giulia e la città di Fiume
c. il Trentino, la Venezia Giulia e le ex colonie tedesche dell’Africa
d. il Trentino, l’Alto Adige, la Venezia Giulia e Trieste

RISPONDI ALLE SEGUENTI DOMANDE UTILIZZANDO LO SPAZIO CHE TI SARÀ INDICATO DALL’INSEGNANTE.

1. Elenca le principali vicende belliche sul fronte italo-austriaco fra il 1916 e il 1918.
2. Dai trattati di pace del 1919 scaturì un nuovo assetto dell’Europa. Quali furono i principali cambiamenti?
Completa il cruciverba e scoprirai il luogo di una famosa battaglia (10)

Tracce temi di quarta e quinta dicembre 2009

IPSSAR «Maffioli» Castelfranco Veneto

Anno scolastico 2009-2010

Tracce compito di italiano (dicembre 2009) una da svolgere in classe e un’altra per casa da consegnare dopo le vacanze di Natale

1. Partendo dall’episodio di violenza nei confronti del premier avvenuto qualche giorno fa, parla del clima politico che si è creato. Di chi è la responsabilità? Ricordi altri fatti simili? Come valuti le reazioni che ci sono state? Hai seguito il dibattito? Qual è la tua posizione? Motiva le tue ragioni in un testo argomentativo.

2. Prendendo spunto da un film che hai visto o da un libro che hai letto, scrivi una recensione. Per il FILM: trama, musica, scena madre, interpretazione, confronto con altri film dello stesso genere, giudizio conclusivo; per il LIBRO: come l’hai scoperto? perché l’hai letto? L’autore, trama, argomento, personaggi, giudizio globale, perché lo consiglieresti?

3. Intervista a me stesso. Le domande che nessuno mi ha mai fatto e le risposte che non ho mai dato. Ecco alcuni esempi: come vivi le emozioni: la paura, l’amore l’aggressività? Qual è il tuo maggiore pregio o maggiore difetto? Quali sono le situazioni che ti hanno dato maggior dolore o maggiore felicità? In quali circostanze ti sei arrabbiato l’ultima volta? Quali persone ti hanno deluso? Che musica ascolti? Qual è il dolore fisico più consistente che hai dovuto sopportare? Sei pessimista oppure ottimista? Qual è il tuo sogno nel cassetto?

4. La solitudine è una condizione della vita umana, purtroppo in crescita, mancando spesso le occasioni di incontro che la vita di qualche decennio fa offriva con maggiore frequenza. La solitudine: una condanna o un’opportunità? Sei socievole o solitario? Fai qualche riferimento a testi poetici o di canzoni che conosci in forma di articolo di giornale

5. Immagina di scrivere due lettere: nella prima un amico ti comunica di voler lasciare la scuola. Cerca di ipotizzare quali potrebbero essere le sue motivazioni. Nella seconda invece scrivi la risposta, cercando di convincerlo a cambiare idea.

6. Se dovessi organizzare le vacanze dei tuoi sogni in qualche sperduto luogo del pianeta, dove andresti? Con chi? Quando? Con quale mezzo? Con quanti soldi? Cosa dovrei assolutamente vedere? Che cosa ti piacerebbe mangiare? Chi vorresti incontrare? Redigi il resoconto come se il viaggio fosse effettivamente avvenuto

7. Se fossi il Sindaco della tua città che cosa faresti? Quali priorità dovresti affrontare? Che cosa proporresti di fare per giovani? E per gli anziani? Proponi un breve discorso dove esponi il tuo programma politico. Cerca di essere convincente.

8. Se dovessi fare un processo ai comportamenti dei giovani della tua generazione come li giudicheresti? Immagina di essere il pubblico ministero e di formulare i capi d’accusa. Quali sono più gravi? I comportamenti da censurare? E’ una generazione realizzata oppure no? Quali responsabilità intravvedi? Quali limiti? Formula anche un breve discorso dell’avvocato difensore sottolineando i valori e gli aspetti positivi da segnalare. Infine formula la sentenza del giudice: condanna o assoluzione?

9. Un ragazzo e una ragazza stanno discutendo animatamente: litigano? Perché? Su quali argomenti? Che relazione c’è fra i due? Scegli un ambiente e un periodo particolare dove ambientare la scena. Scrivila come se si trattasse di una rappresentazione teatrale o di una sceneggiatura di un film. Scegli infine i nomi dei protagonisti.

TIPOLOGIA - B -

REDAZIONE DI UN "SAGGIO BREVE" O DI UN "ARTICOLO DI GIORNALE"

CONSEGNE

Sviluppa l’argomento scelto o in forma di “saggio breve” o di “articolo di giornale”, utilizzando i documenti e i dati che lo corredano.
Se scegli la forma del “saggio breve”, interpreta e confronta i documenti e i dati forniti e su questa base svolgi, argomentandola, la tua trattazione, anche con opportuni riferimenti alle tue conoscenze ed esperienze di studio.
Da’ al saggio un titolo coerente con la tua trattazione e ipotizzane una destinazione editoriale (rivista specialistica, fascicolo scolastico di ricerca e documentazione, rassegna di argomento culturale, altro). Se lo ritieni, organizza la trattazione suddividendola in paragrafi cui potrai dare eventualmente uno specifico titolo.
Se scegli la forma dell’ “articolo di giornale”, individua nei documenti e nei dati forniti uno o più elementi che ti sembrano rilevanti e costruisci su di essi il tuo ‘pezzo’. Da’ all’articolo un titolo appropriato ed indica il tipo di giornale sul quale ne ipotizzi la pubblicazione (quotidiano, rivista divulgativa, giornale scolastico, altro). Per attualizzare l’argomento, puoi riferirti a circostanze immaginarie o reali (mostre, anniversari, convegni o eventi di rilievo). Per entrambe le forme di scrittura non superare le quattro o cinque colonne di metà di foglio protocollo.

AMBITO SOCIO – ARTISTICO-LETTERARIO

Argomento: La solitudine come scelta di vita o dura necessità
DOCUMENTI

«Io odo la mia patria che grida: - Scrivi ciò che vedesti Manderò la mia voce dalle rovine e ti detterò la mia storia. Piangeranno i secoli su la mia solitudine, e le genti s’ammaestreranno nelle mie disavventure».
(U. FOSCOLO, Ortis, 4 dicembre)

«O antica mia solitudine! Ove sei tu? Non v'è gleba, non antro, non albero che non mi riviva nel cuore alimentandomi quel soave e patetico desiderio che sempre accompagna fuori dalle sue case l'uomo esule, e sventurato. Parmi che i miei piaceri e i miei dolori, i quali in que' luoghi m'erano cari - tutto insomma quello ch'è mio, sia rimasto tutto con te; e che qui non si trascini pellegrinando se non lo spettro del povero Jacopo».
(U. FOSCOLO, Ortis, Firenze 7 dicembre)

Oimè, quanto somiglia
Al tuo costume il mio! Sollazzo e riso,
Della novella età dolce famiglia,
E te german di giovinezza, amore,
Sospiro acerbo de' provetti giorni,
Non curo, io non so come; anzi da loro
Quasi fuggo lontano;
Quasi romito, e strano
Al mio loco natio,
Passo del viver mio la primavera.
(...)
Io solitario in questa
Rimota parte alla campagna uscendo,
Ogni diletto e gioco
Indugio in altro tempo:
G. LEOPARDI Canti, Il passero solitario

La prima notte sostò in una cantoniera della valle, ma non poté dormire. La notte era limpida e dolce; sul cielo bianco sopra la valle chiusa da colonne di rocce la luna pendeva come una lampada d'oro dalla volta d'un tempio: ma un uomo malato gemeva nella cantoniera triste come una stalla, e il dolore umano turbava la solitudine. (...) Anche la donna ebbe paura della solitudine e di quella morte improvvisa.
(G. DELEDDA, Canne al vento)

Maria dritta e sfrontata per l'onore, se ne viene da me, mi mette il braccio sotto e ce ne saliamo a Montedidio con gli occhi della gente sulla schiena. Com'è importante stare a due, maschio e femmina, per questa città. Chi sta solo è meno di uno.
(E. DE LUCA, Montedidio)

«Può darsi che la solitudine distrugga l'uomo, così come ha fatto con Pascal, Hòlderlin e Nietzsche. Ma questo fallimento, questa frattura, sono comunque più degni di un uomo di pensiero di quanto non lo sia la sua connivenza con un mondo che prima lo contagia con le sue seduzioni dolci e perverse e poi lo scaraventa nella fossa. Tu precipita più in basso, nella voragine della solitudine. Perirai ugualmente, ma con la tua caduta avrai sostenuto il destino che governa la tua anima e la tua opera. Rimani solo e ricorda. Rimani solo e osserva. Rimani solo e rispondi. Non illuderti: non esistono soluzioni diverse. Rimani solo, anche a costo della vita»
(S. MARAI, Cielo e terra).