domenica 3 gennaio 2010

Giovanni Pascoli Canti di Castelvecchio

Nebbia

Premessa

Rifìutando ogni compromissione con ciò che è «lontano» (con le sue suggestioni di morte e di pianto e coi suoi paurosi richiami), l’orizzonte delle certezze viene a coincidere con la siepe che recinge la piccola proprietà. Così la nebbia, qui implorata, simboleggia la protezione del privato, dell’egoistica sopravvivenza fra le cose care. A questa visione «piccolo-borghese» il Pascoli offre un riscontro nella sua poetica Il fanciullino:
«A volte, non ravvisando essi [i poeti] nulla di luminoso e di bello nelle cose che li circondano, si chiudono a sognare e a cercare lontano. Ma pur nelle cose vicine era quello che cercavano, e non avervelo trovato, fu difetto, non di poesia nelle cose, ma di vista negli occhi».

METRO Strofe di sei versi ciascuno: nell’ordine, tre novenari, un ternario, un novenario, un senario. Schema: ABCBCA, ADEDEA, ecc- (A si ripete in ogni strofa).

Il testo

Nascondi le cose lontane,
tu nebbia impalpabile e scialba,
tu fumo che ancora rampolli,
su l’alba,
da’ lampi notturni e da’ crolli
d’aeree frane!

Nascondi le cose lontane,
nascondimi quello ch’è morto!
Ch’io veda soltanto la siepe
dell’orto,
la mura ch’ha piene le crepe
di valerïane.

Nascondi le cose lontane:
le cose son ebbre di pianto!
Ch’io veda i due peschi, i due meli,
soltanto,
che dànno i soavi lor mieli
pel nero mio pane.

Nascondi le cose lontane
che vogliono ch’ami e che vada!
Ch’io veda là solo quel bianco
di strada,
che un giorno ho da fare tra stanco
don don di campane...

Nascondi le cose lontane,
nascondile, involale al volo
del cuore! Ch’io veda il cipresso
là, solo,
qui, solo quest’orto, cui presso
sonnecchia il mio cane.


a) Note e parafrasi

Nascondi le cose lontane,
tu nebbia impalpabile e scialba,
tu fumo che ancora rampolli,
su l’alba,
da’ lampi notturni e da’ crolli
d’aeree frane!


1. Nascondi le cose lontane che vogliono ch’ami e che vada!
2. tu nebbia...: il verso rende imitativamente la vischiosità con suoni labiali sordi e sonori (...neBBia mPalPaBile e scialBa)
3. fumo: (metafora) simile a fumo
4. rampolli: ti generi, scaturisci (con idea li continuità). La nebbia sembra continuamente prodursi da residui di temporali notturni
5. crolli d’aeree frane: fragori di tempesta paragonati a un cadere fragoroso e prolungato di materia. Anche qui si nota il fonosimbolismo (cRolli d’aeRee fRane)

Tu nebbia impalpabile e scialba nascondi le cose lontane, tu nebbia come il fumo che stai ancora aggrappandoti, sul cielo dell’alba, venuta da residui di temporali notturni e da crolli di frane dell’aria, che lascino quindi come del fumo della polvere dopo il loro crollo

Nascondi le cose lontane,
nascondi quello ch’è morto!
Ch’io veda soltanto la siepe
Dell’orto,
la mura ch’ha piene le crepe
di valeriane.


1. quello ch’è morto!: in morto non è solo l’idea di «passato, concluso», ma anche l’idea di qualcosa che richiama a pensieri, funebri
2. la mura: il muro di cinta (è voce garfagnigna)
3. valenane: pianta erbacea medicinale con proprietà sedative Tu sempre riferito alla nebbia.

Nascondi le cose lontane, nascondi le persone che sono morte , il cimitero, oppure il mio passato! fa che io possa vedere soltanto la siepe dell’orto, che possa vedere vicino e quindi vicino, di occuparmi solo di cose mie e le mure che sono piene di screpolature create dalla pianta di valeriana-

Nascondi le cose lontane:
le cose son ebbre di pianto!
Ch’io veda i due peschi, i due meli,
soltanto,
che dànno i soavi lor mieli
pel nero mio pane.


1. le cose...: la realtà, il mondo che ci circonda è turbato, sconvolto dal pianto. Il verso sembra alludere alla lacrimae rerum virgiliane, alla concezione di un dolore connaturato alla realtà
2. i soavi lor mieli: i loro dolci frutti –
3. nero mio pane: allusione a un tenore di vita povero

Nascondi tu nebbia le cose lontane; le cose sono ubriache di pianto! Che io, possa vedere soltanto i due peschi nel cortile e i due meli soltanto, che offrono il loro zucchero con il quale si fa la marmellata o il miele di frutta, addolcendo il mio, povero umile pane nero, come quello consumato dai contadini o persone povere

Nascondi le cose lontane
che vogliono ch’ami e che vada!
Ch’io veda là solo quel bianco
di strada,
che un giorno ho da fare tra stanco
don don di campane...


1. che vogliono...: che vogliono che io vada, rispondendo al richiamo degli affetti.
2. quel bianco di strada: quel tratto bianco di strada
3. Stanco: esprime il languore e la malinconia dei rintocchi della campana a morto

Tu nebbia nascondi le cose lontane, che mi lusingano e mi attraggono affinché io esca dal mio guscio, che io veda invece solo quel tratto di strada bianca che mi conduce via per sempre, che un giorno dovrò percorrere quando sarò morto, fra un stando e lento suono di campane

Nascondi le cose lontane,
nascondile, involale al volo
del cuore!
Ch’io veda il cipresso
Là, solo,
qui, solo quest’orto, cui presso
sonnecchia il mio cane.


1. involale al volo del cuore: toglile, occultale allo slancio dell’animo che vorrebbe raggiungerle (evidente l’allitterazione in VoLaLe al VoLo)
2. .solo: solitario (aggettivo che con gli avverbi solo. soltanto connota l’idea di «limitazione esclusiva»).

Tu nebbia nascondi le cose lontane nascondile sottraile al desiderio del cuore che invece vorrebbe volare via. Che io veda soltanto il cipresso solitario, presso al quale sonnecchia il mio cane

Pascoli opere Myricae, Arano

Myricae, Arano

Introduzione

È il primo dei madrigali intitolati L’ultima passeggiata (nucleo originario di Myricae) dove il poeta descrive le impressioni di una giornata trascorsa in campagna, prima di tornare in città e riprendere la scuola. Composto tra il 1885 e il 1886, e pubblicato per la prima volta nel 1886, in occasione delle nozze di Severino Ferrari, Arano entrò a far parte della seconda edizione di Myricae (1892). Una probabile fonte della lirica è stata indicata dal critico Adriano Seroni in un passo dei manzoniani Promessi sposi (cap. IV la pagina iniziale), antologizzato dal Pascoli in Sul limitare:
«A destra e a sinistra, nelle vigne, sui tralci ancor tesi, brillavan le foglie rosseggianti a varie tinte; e la terra lavorata di fresco, spiccava bruna e. distinta né campi di stoppie biancastre e luccicanti dalla guazza».

METRO: madrigale (forma poetica di origine popolare), formato da due terzine di endecasillabi, legate tra loro dalla rima del secondo verso, e da una quartina a rima alternata, secondo lo schema ABA. CBC, DEDE. Le parole in rima della prima terzina sono tra loro allitteranti (filA-rE, frAttE, fumArE); inoltre, la parola finale della prima terzina e quella iniziale della seconda sono legate fonicamente (fumARe, ARano). Leggiamo il testo

Al campo, dove roggio nel filare
qualche pampano brilla, e dalle fratte
sembra la nebbia mattinal fumare,

arano: a lente grida, uno le lente
vacche spinge; altri semina; un ribatte
le porche con sua marra pazïente;

ché il passero saputo in cor già gode,
e il tutto spia dai rami irti del moro;
e il pettirosso: nelle siepi s'ode
il suo sottil tintinno come d'oro.


Nella prima strofa il poeta descrive la campagna autunnale, sommersa nella nebbia mattutina:la ripetizione della erre produce una musica roca, fitta di echi e di richiami, sembra che le parole scorrano per conto proprio, indipendentemente dal loro significato, in un rincorrersi di consonanti e vocali liquide, con fori legami fonici Roggio, filaRE, bRilla, fRAtte, sembRA, fumaRE

Al campo, dove ROggio nel filaRE
qualche pampano bRilla, e dalle fRAt-te
sembRA la nebbia mattinal fumaRE


Al campo: esprime, più che la direzione, la lontananza indefinita del campo: roggio: rossastro pampano: variante popolare (toscana) di pampino - e dalle fratte: dalle siepi; fumare, “vaporare in alto, per il sole che al dirada; si che paia salire dalle fratte” (G, De Robertis)

Al campo, dove nel filare (Nel campo dove nel filare dell’uva), qualche pampano brilla, roggio (qualche pampano delle viti sembra brilla rosso) e la nebbia mattinal sembra fumare dalle fratte (e la nebbia assomiglia ad un fumo che vapora, che sale dalle fratte cioè le siepi)

Nella seconda strofa si descrive il lavoro lento dei contadini che arano: I contadini si muovono lentamente sullo sfondo sullo sfondo silenzioso del campo; l’aria riecheggia di voci e di suoni, ma l’impressione è quella di un’assoluta immobilità e di un assoluto stupore; è questo l’effetto scandito dalle minuziose pau-se, create dalla punteggiatura pause. I due punti dopo arano, la virgola a metà del v. 4 i due punti e virgola del verso 5, i forti enjambement lente / vacche; un ribatte / le porche e della dieresi di pazïente

arano: a lente grida, uno le lente
vacche spinge; altri semina; un ribatte
le porche con sua marra pazïente


arano: con soggetto indeterminato, e con forte rilievo ritmico nel verso. La scansione interna di questo e dei seguenti versi contribuisce a connotare l’idea di lentezza (lente...lente...) porche: strisce di terreno fra due solchi, cumuli di terra fra due solchi poi spianati dal con-tadino (la parola è sentita come tecnicismo rustico) - marra: zappa leggera, per smuovere la terra superficialmente

arano: (là sul campo lontano arano, chi ara? non si sa soggetto indeterminato, saranno i contadini che arano) uno (di quelli che arano, un contadino) a lente grida, spinge le lente vacche; (con lente grida ritmate spinge incita fa muovere le vacche anch’esse lente a causa della fatica di trascinare l’aratro) altri (altri contadini o aiutanti servi ecc. ) semina; (seminano) un pazïente (altro contadino paziente, con cura) con sua marra ribatte le porche (con la sua zappa, richiude le zolle, battendole più volte, non appena il seme è ricaduta dentro il solco tracciato dall’aratro, non è la marra, cioè la zappa ad essere paziente, ma il contadino. Questa è una figura retorica che si chiama zeugma)

Nella terza strofa Entrano in scena gli uccelli, il passero e il pettirosso, che spia-no fuori campo dall’albero e dalla siepe i movimenti degli uomini e degli animali.
Qui la punteggiatura ridiventa normale, coincidendo con la misura del verso; ma al verso 9 ecco un’altra e più vistosa frantumazione della sintassi, con lo stacco improvviso creato dai due punti. Si prepara così la raffinata onomatopea dell’ultimo verso (sottil tintinno) collegata mediante la sinestesia alla brillantezza dell’oro. Un trillo di uccello felice conclude felicemente, questa lirica appartenente al nucleo originario di Myricae, quando ancora l’incupirsi funerario della sua poesia non era ancora comparso all’orizzonte

Ché il passero saputo in cor già gode,
e il tutto spia dai rami irti del moro;
e il pettirosso: nelle siepi s’ode
il suo sottil tintinno come d’oro


che: forse da intendere come tanto che saputo: esperto ~ gode: si compiace, pregustando il cibo ~ 8. e il tutto spia...: all’entrata in scena del passero (e poi del pettirosso) corrisponde una serie fonosimbolica allusiva a piccoli suoni secchi e battiti - moro: gelso - come d’oro: per indicare una limpida risonanza (sinestesia). I suoni dell’ultimo verso Til, tin tin e la sinestesia richiamano l’immagine di una moneta d’oro che caduta per terra produce il caratteristico suono.
Ché il saputo passero in cor già gode, (tanto che, cosicché, il sapiente passero si rallegra già nel suo cuore, perché può approfittare della ghiotta occasione di beccare i semi o i vermi che emergono dalla terra smossa dall’aratro) e il tutto spia dai rami irti del moro; (spiando tutta la scena appollaiato sui rami diritti acuminati del gelso, pianta tipica, che serviva per recitare i campi e per alimen-tare i bachi da seta che si nutrono delle sue foglie) e il pettirosso: (c’è una brusca interruzione del discorso) s’ode nelle siepi il suo sotTIL TIN-TINNo come d’oro (e si senti provenire dalle siepi, l’uccello non si vede, ma si riconosce dal verso tintinnante sottil tintinno è un’onomatopea, si notino le ripetizioni til tin tin, sotTIL TIN-TINNo. Il verso dell’usignolo ricorda il suono di una mo-neta d’oro che cade per terra producendo un suono cristallino. SotTIL TIN-TINNo come d’oro è una sinestesia perché si dice che il verso dell’usignolo che è un suono è d’oro, l’oro non si sente, ma si vede. Quindi si combinano insieme campi sensoriali diversi la vista e l’udito)

Myricae - Novembre

Myricae - Novembre


Questa bellissima lirica è una delle più suggestive della raccolta Myricae. Pubblicata per la prima volta sulla rivista fiorentina “Vita Nuova” nel 1891, mette in risalto l’inganno dei sensi prodotto da una luminosa giornata di Novembre. Qui non c’è la nebbia che avvolge le cose nel suo mistero. ma un cielo limpido e un sole chiaro. Pare di essere in primavera e, istintivamente, si cercano con gli occhi
“gli albicocchi in fiore”
mentre si ha l’impressione di sentire il profumo del biancospino. E’ solo un’illusione: non è arrivata la primavera, ma siamo in autunno avanzato e perciò il pruno è secco e le piante intrecciano sullo sfondo chiaro e sereno del cielo, i rami spogli. Non ci sono nell’aria guizzi di rondini, non ci sono cinguettii festosi, non morbidi prati, ma un cielo vuoto e un terreno gelido e infecondo che risuono sotto i passi del viandante. Intorno c’è silenzio profondo, in cui si avverte appena il fruscio lontano di foglie scrollate dal vento: è l’estate di San Martino; pochi giorni di sole e poi l’inverno: una breve illusione che svanisce in un cupo presagio di morte
Metro tre strofe saffiche formate ognuna di tre endecasillabi e di un quinaria a rima alternata secondo lo schema( ABAb CDCd EFEf)

Gemmea l'aria, il sole così chiaro
che tu ricerchi gli albicocchi in fiore,
e del prunalbo l'odorino amaro
senti nel cuore

Ma secco è il pruno, e le stecchite piante
di nere trame segnano il sereno,
e vuoto il cielo, e cavo al piè sonante
sembra il terreno.

Silenzio, intorno: solo, alle ventate,
odi lontano, da giardini ed orti,
di foglie un cader fragile. È l'estate,
fredda, dei morti.


Parafrasi e commento

Gemmea l’aria, il sole così chiaro
Che tu ricerchi gli albicocchi in fiore,
e del prunalbo l’odorino amaro
senti nel cuore


Note. Che tu ricerchi ... gli albicocchi: testimonia la tendenza pascoliana (teorizzata nel Fanciullino) a indicare le piante col loro nome specifico (contro il generico e inespressivo albero della tradizione letteraria). Prunalbo: biancospinonel cuore: in sinestesia con odorino (l’odore in relazione con un sentimento, come nel San Martino del Carducci:
va l’aspro odor dei vini /1’anime a rallegrar)


Parafrasi Gemmea l’aria, (l’aria è limpida come una gemma. Nelle due proposizioni di questo verso è omesso la è copulativa, non c’è la è con effetti di rapida impressione. Invece di scrivere L’aria è gemmea e il solo è così chiaro)em> il sole (cielo) così chiaro che tu ricerchi gli albicocchi in fiore, (tu è impersonale tu chiunque tu sia volgi intorno lo sguardo cercando gli albicocchi, piante che fanno le albicocche, fioriti come nella bella stagione della primavera. La frase «che tu ricerchi» equivale a «che si ricercano»~ ma il rapporto con l’interlocutore, con un tu dà più forza a questa iperbolica ricerca di primavera. Usa la parola specifica «albicocchi», che indica la natura degli alberi che ha di fronte, confermando questa tendenza a nominare in modo preciso delle cose) e senti nel cuore l’odorino amaro del prunalbo (senti non con l’olfatto perché l’odore oggettivamente non c’è e quindi non si può sentire, ma quest’odore lo senti nel cuore come una traccia dei ricordi, odorino amaro è una sinestesia tra gusto e olfatto). L’odore in relazione con un sentimento, come nel San Martino del Carducci:
va l’aspro odor dei vini /1’anime a rallegrar.
Si veda anche la grande importanza degli odori nel decadentismo in Baudelaire e in O. Wilde)

Ma secco è il pruno, e le stecchite piante
di nere trame segnano il sereno,
e vuoto il cielo, e cavo al piè sonante
sembra il terreno


Ma (ma non è così come sembra. Si oppone all’illusione la realtà) il pruno,(anche qui c’è la nominazione specifica delle cose) è secco e le piante stecchite segnano il sereno, di nere trame (notate l’inversione sintattica l’uso non ordinario delle parole: le piante aride, senza gemme stecchite morte, se si guardano dal basso verso l’alto segnano il cielo sereno con l’intricata trama dei loro rami neri morti) e vuoto il cielo,
(il cielo è vuoto, perché non ci sono voli di rondini o di uccelli) e il terreno sembra cavo (vuoto, morto. rimbombante)
al piè sonante (sonante può essere considerato uno zeugma perché aggioga i due termini piè e terreno, aggettivo può essere applicato al piè e al terreno)

Silenzio, intorno: solo, alle ventate,
odi lontano, da giardini ed orti,
di foglie un cader fragile. È l’estate,
fredda, dei morti.


Silenzio, intorno: (intorno: frase, anche questa, ellittica, manca qualcosa, ma il «c’è» per condensare l’impressione), solo odi (anche qui nel senso di «si ode») lontano, alle ventate ( quando soffia forte il vento) un cader fragile di foglie (un cadere di foglie fragili, fragile viene appliacato al cadere e non alle foglie che effettivamente sono fragili d’autunno. Si veda l’allitterazione della effe) da giardini ed orti. (serie fonosimbolica - foglie, fragile, fredda) che contribuisce alle connotazioni di secchezza. precarietà, morte di questi ultimi versi) È l’estate, fredda, dei morti. (la cosiddetta estate di San Martino. che cade 1’11 novembre, quindi dopo la festività dei Defunti)

Myricae - L’ Assiuolo (testo e parafrasi)

1. Myricae - L’ Assiuolo (testo e parafrasi)

Introduzione

Pubblicata per la prima volta sul “Marzocco” del 3 gennaio 1897, la lirica entrò poi nella quarta edizione di Myricae, inclusa nella sezione «In campagna». Piccolo uccello rapace, simile al gufo, l’assiuolo è chiamato popolarmente in Toscana chiù, per il verso che emette ed è considerato nella poesia pascoliana, dove appare di frequente, come simbolo di morte.
METRO. Tre strofe di sette novenari, a rima alternata, più un monosillabo onomatopeico (chiù). In rima col sesto verso di ogni strofa

Introduzione parafrasi alle singole strofe

L' Assiuolo

Dov'era la luna? chè il cielo
notava in un'alba di perla,
ed ergersi il mandorlo e il melo
parevano a meglio vederla.
Venivano soffi di lampi
da un nero di nubi laggiù;
veniva una voce dai campi:
chiù . . .

Le stelle lucevano rare
tra mezzo alla nebbia di latte:
sentivo il cullare del mare,
sentivo un fru fru tra le fratte;
sentivo nel cuore un sussulto,
com'eco d'un grido che fu.
Sonava lontano il singulto:
chiù . . .

Su tutte le lucide vette
tremava un sospiro di vento:
squassavano le cavallette
finissimi sistri d'argento
(tintinni a invisibili porte
che forse non s'aprono più? . . .);
e c'era quel pianto di morte. . .
chiù . . .


L’assiuolo rappresenta uno degli esiti più alti del simbolismo pascoliano, che (come ha dimostrato G. Contini in un suo famoso saggio) si fonda su una raffinata dialettica di “determinato". e, “indeterminato”.
In apparenza, nulla è più determinato del paesaggio lunare, che emerge nitido e chiaro nella prima quartina: un chiarore perlaceo si diffonde nel cielo e ben definiti sono il mandorlo e il melo, che sembrano ergersi per meglio vedere la luna.
Ma l’invisibilità dell’astro notturno introduce già un elemento di inquietudine, sottolineato dall’interrogazione iniziale; e quell’alba di perla ha qualcosa di impalpabile, che suscita un senso di attesa non privo di turbamento.
Ed ecco i soffi di lampi, silenziosi bagliori che fanno presentire il vento: c’è qualcosa di umano in quei soffi, che suggerisce l’impressione di un’oscura minaccia, anche perché essi provengono da un nero di nubi (e non, come ci si aspetterebbe, da «nubi nere».
Si svela così il significato funebre della lirica, subito confermato da quella sorta di singhiozzo che viene dai campi, il chiù dell’assiuolo: per ora soltanto una voce indefinita, ma che basta a suscitare un incredulo sgomento.

Dov’era la luna? chè il cielo
Notava in un’alba di perla,
ed ergersi il mandorlo e il melo
parevano a meglio vederla.
Venivano soffi di lampi
Da un nero di nubi laggiù;
veniva una voce dai campi:
chiù . . .


Dov’era la luna? La luna non si vede, ma si vede il suo bagliore poiché, dato ché il cielo nuotava in un’alba di perla il cielo è illuminato come una perla, candida da una strana alba chiara, e il mandorlo e il pero si ergono, sia alzano come «in punta di piedi» per vedere meglio o per vedere da dove provenisse questa luce, dove fosse la luna. Dopo un pesaggio lunare lattiginoso. si ritorna sulla terra. Venivano soffi di lampi, bagliori di lampi, fasci di lampi le luci di lampi «soffi di lampi» (sinestesia). da un nero di nubi da un nero fatto di nuvole costituite da nuvole laggiù. Veniva anche un verso una voce non un verso quasi umana dai campi, il verso dell’assiuolo Chiù .

Nella seconda strofa, ritorna per un momento una sensazione di illusoria serenità: le stelle brillano nel cielo, il mare si culla dolcemente; ma lo sgomento prevale ancora una volta, suscitato dall’elaboratissima onomatopea del v. 12 (un fru fru tra le fratte): l’espressione fonosimbolica e pre-grammaticale fru fru trapassa, grazie alla mediazione del tra, nella parola semantica fratte.
Mentre il linguaggio pascoliano fa, così, le sue prime grandi prove, la raffinata allitterazione di F, di R e di T si unisce all’onomatopea per comunicare sensazioni fuggevoli di disagio, che è ora del tutto umano: è un sussulto del cuore, è il ricordo di un lontano dolore, lancinante come un grido.
In perfetta simmetria, anche il verso dell’assiuolo non è più una voce indistinta, ma si è fatto umano, è divenuto un singulto

Le stelle lucevano rare
Tra mezzo alla nebbia di latte:
sentivo il cullare del mare,
sentivo un fru fru tra le fratte;
sentivo nel cuore un sussulto,
com’eco d’un grido che fu.
Sonava lontano il singulto:
chiù . . .


Le stelle rare (poche) lucevano (splendevano) tra mezzo alla nebbia (in mezzo alla nebbia) di latte (biancastra forse tra nubi del cielo): sentivo il cullare (il rumore ritmico ripetitivo) del mare, sentivo un FRu FRu TRa le FRaTTe; (un rumore fra i cespugli forse di uccelli che spiccano il volo, vedi l’effetto onomatopeico ottenuto attraverso l’allitterazione della F, T R) sentivo nel cuore un sussulto,(sentivo il cuore battere sempre più forte, un’emozione forte) com’eco d’un grido che fu. (che mi ricorda un grido lontano che emerge dalla coscienza, forse quello del padre morto molti anni prima «e restò negli aperti occhi un grido» come dice nella poesia X agosto Sonava lontano il singulto: chiù … (si sentiva in lontananza il verso, divenuto ora un lamento umano del chiù.

La terza strofa ci porta in pieno mistero. Sulle vette dei monti trema un sospiro di vento, che fa vibrare l’aria prima immobile: e sia il tremore sia il sospiro infondono un sentimento umano alla natura.
Ed ecco il verso metallico e stridulo delle cavallette, che ricorda il suono argenteo dei sistri egiziani, echeggiante nei riti misterici della dea lside.
La sintassi, già precaria, ora si frantuma, spezzata dall’intervento di una frase tra parentesi, che allude a un mistero di cui non si possiede più la chiave, a porte / che forse non s’aprono più; i puntini di sospensione dicono che non è più possibile un discorso, perché le illusioni sono svanite nel pianto di morte dell’assiuolo.
Il piccolo rapace ha compiuto la sua metamorfosi, da elemento naturale del paesaggio a simbolo funebre.

Su tutte le lucide vette
Tremava un sospiro di vento:
squassavano le cavallette
finissimi sistri d’argento
(tintinni a invisibili porte
che forse non s’aprono più?;
e c’era quel pianto di morte.
chiù .


Tremava (passava una brezza, un respiro di vento) un sospiro di vento Su tutte le lucide vette (sopra le punte degli alberi lucide, illuminate dalla luna) squassavano le cavallette (passano le cavallette che con lo sbattere delle loro ali producono un suono metallico simile a quello dei sistri, antichi strumenti musicali simili a sonagli che venivano utilizzati durante il culto alla dea egiziana Iside) finissimi sistri d’argento (tintinni a invisibili porte che forse non s’aprono più? (i sistri erano come, ricordano il suono dei sonagli, campanelli all’entrata delle porte della morte, che aprivano la strada verso, l’aldilà, ma forse queste porte attraverso le quali si varca la soglia dell’aldilà de dell’immortalità sono chiuse per sempre ); e c’era quel pianto di morte! Chiù.

Modulo per autore : Giovanni Pascoli

A. GIOVANNI PASCOLI

1. Premessa

Fra l’ultimo quarto dell’Ottocento e il primo decennio del Novecento si forma e si pone all’attenzione del pubblico questo originale e complessa figura di poeta, che il Contini definisce «rivoluzionario nella tradizione, ossia a metà strada fra Ottocento e Novecento» e Schiaffini
“Il momento cruciale, il salto del fosso nella storia del nostro linguaggio poetico”

La novità e la singolarità della poesia pascoliana sconcertano non poco i critici contemporaneo, che non riuscirono a trovare una formula per giudicare e definire l’artista, Basti ricordare il dissenso del Croce che ne l 1907 lo definì «Piccolo grande poeta», indicando lo un poeta del frammento e dell’idillio, felicissimo nel cogliere i particolari, ma privo di virtù sintetiche e costruttive, o anche un malato di nervi per le sue figure retoriche e per quella poetica del Decadentismo che Croce non riusciva a capire poiché era di mentalità razionale ed idealistica.
Ma oggi è possibile, considerando complessivamente la sua multiforme attività e tenuto conto delle più recenti e scaltrite indagine critiche, ritenere quella del Pascoli la voce fra le più originali e valide del Decadentismo europeo e in genere della poesia moderna e riconoscerne l’importanza nei rapporti con la vita spirituale dell’Italia contemporanea e negli influssi esercitati sull’esperienza poetica del 900.

I LA VITA

1855 Nasce a S. Mauro di Romagna, ora San Mauro Pascoli in provincia di Forlì, a 35 chilometri dalla città, che conserva ancora la fattoria dei principi di Torlonia nella quale ha lavorato il padre. Quarto di dieci figli ebbe un’infanzia triste, funestata da frequenti lutti.
1867 A dodici anni e studia nel Collegio degli scolopi ad Urbino, Congregazione dei Chierici delle Scuole Pie, donde il nome, che ebbe origine dalla «Scuola Pia» fondata in Italia nel 1597 da S. Giuseppe Calasanzio per l’istruzione gratuita dei figli del popolo e che fu elevata a Ordine religioso da Gregorio XV nel 1621.
In collegio viene raggiunto da una grave notizia. una grande sventura sì era abbattuta sulla sua famiglia: il padre Ruggiero intendente, amministratore di una tenuta del principe Torlonia, viene assassinato il 10 agosto con una fucilata mentre tornava da una festa paesana, senza apparenti motivi, così ritiene il Pascoli siano andate le cose. Ora, da indagini svolte, si pensa invece che un movente sia da ricercarsi nella rivalità con altri o che sia un regolamento di conti nel campo del contrabbando.. Questo episodio segnerà per sempre la vita di Pascoli è sarà da lui richiamato ossessivamente. Dopo il padre perderà molti altri famigliari. e da altri lutti domestici.
Scriverà nelle note a Myricae:
«A mezza strada tra Savignano e San Mauro è questa unica di mia gente e mia, là dove l’11 agosto 1867 (quanti anni! A me pare non ancora tramontato quel giorno) deposero, con la nobile fronte forata e sanguinante, il mio padre, che vi chiamò con la virtù della passione lì a poco anche mia madre, e prima di lei una mia sorella, e poi un fratello e un altro. Tutta una famiglia è lì accolta, ineffabilmente triste, e io vivo con loro, ed essi non lo sanno e non mi vedono: hanno gli occhi troppo pieni di lacrime».
1873 Si iscrive all’Università di Bologna. Maturano in lui idee socialiste e aderì all’Internazionale. Periodo di agitazione e di vita sregolata. Nel 1879, viene arrestato e messo in carcere per quattro mesi e liberato dopo il processo, per aver preso parte alle manifestazioni che seguirono la condanna dell’anarchico Guido Passanante.
Si legge nelle note ai Canti di Castelvecchio:
«Quanta prigione per nulla! O per molto, a dir vero: per sentimenti e idee; Fu nei primordi del socialismo italiano in cui si processavano come malfattori quelli che aspiravano a togliere dal mondo il male, e si condannavano: E così ebbi occasione di meditare profondamente, per due mesi e mezzo di un rigidissimo inverno su la giustizia. Dopo la qual meditazione mi trovai allora assolto e per sempre indignato».
Fu allievo di Carducci a Bologna dove si laureò nel 1882 in Lettere con una tesi su Alceo.
Si dedicò poi, dal 1883, all’insegnamento delle lettere classiche nei licei, quindi del latino nelle Università di Bologna, di Messina, di Pisa; ritiratosi Carducci nel 1905, gli successe alla cattedra di letteratura italiana a Bologna.
Qualche anno prima, nel 1898, rimase sconvolto dal matrimonio della sorella Ida che vive come un tradimento, una profanazione del nido famigliare che aveva costruito con le due sorelle Ida e Maria: Quando Pascoli si fidanzerà con la cugina Imelda Morri, la sorella Maria farà naufragare tale relazione per gli stessi motivi di gelosia.
Amò immensamente la campagna per questo D’Annunzio lo definì “ultimo erede di Virgilio” e tutte le cose semplici della natura, fu assetato di bontà e di giustizia, visse chiuso nella malinconia dei ricordi dell’infanzia e dell’adolescenza, votato soltanto al culto delle lettere.
Le liriche, raccolte definitivamente nei volumi Myricae (I ed. 1891), Primi Poemetti, Canti di Castelvecchio (1903), Poemi Conviviali, Odi ed Inni (1906), “Canzone di re Enzo” (1909), Nuovi poemetti, Poemi italici (1911), testimoniano la vena poetica pascoliana, ma solo poche di esse raggiungono l’aerea compiutezza e la solida architettura dell’opera d’arte. Pascoli coltivò con molto merito, e con successo, la lingua latina e tredici volte vinse il premio internazionale di poesia latina di Amsterdam.
Alla critica letteraria Pascoli si volse ancor giovane allestendo due ammirevoli antologie della poesia latina (Epos, Lyra) e due della poesia e della prosa italiana.
1912 Muore a Bologna, dopo aver celebrato con inni il cinquantennio dell’unità d’Italia, l’anno prima nel 1911 e aver salutato l’impresa libica come l’inizio di una nuova era della storia d’Italia (La grande proletaria si è mossa). Ora riposa a Castelvecchio. Pascoli, frazione del comune di Barga in provincia di Lucca, in Garfagnana, a 5 km. dal nucleo principale. Casa e tomba di Giovanni Pascoli, dichiarati monumenti nazionali.

I Il rapporto con il decadentismo e il simbolismo


L’appartenenza o meno di Pascoli al vasto panorama del Decadentismo italiano è prima di tutto un fatto cronologico: il lavoro letterario e l’operazione culturale pascoliana si collocano tra il 1890 e il primo decennio del Novecento. Ma di certo possiamo anticipare che l’adesione, mai peraltro dichiarata, a un movimento o a un raggruppamento è molto lontana dallo stile di vita pascoliano, che privilegia al contrario l’esperienza della chiusura familiare, degli studi accademici e degli impegni privati. Semmai andrà riconfermato un atteggiamento di crisi nei confronti dei nuovi valori della modernità: Pascoli rimane, per molti aspetti, ancora legato a una funzione tradizionale e romantica dello scrittore. Non si lega a nessun gruppo intellettuale, collabora (ma solo saltuariamente) alla vita delle riviste letterarie dell’epoca, affida alla sua poesia il compito di riscattare e di esorcizzare una condizione psicologica dolorosa, appare infine molto distante dalle possibilità che offre in quegli anni il crescente mercato librario (il suo impegno restò limitato, in questo campo, ad alcune fortunate antologie scolastiche). Pascoli - scrive Leone de Castris (Il decadentismo italiano, Bari, Laterza, 1989, p. 10) - realizzò “altrove i riferimenti e i modelli della sua funzione di poeta: fuori della realtà ufficiale dell’Italia di fine secolo, tra un mondo campestre stilizzato in funzione di una salvaguardia dell’innocenza, della difesa da un ordine sociale che sembra atterrire e nevrotizzare pure le umili creature della natura, e una fuga astrale densa di cupi presagi o un’antichità destoricizzata nel trasalimento popolare e moderno che la increspa e l’assilla”.
Alla fine dell’Ottocento il movimento della Scapigliatura cercò di porre le basi di una completa rilettura della funzione dell’artista nel contesto sociale: certamente un elemento di forza dei giovani scapigliati fu quello della rottura insanabile rispetto al conformismo borghese della tradizione romantica e risorgimentale, un atteggiamento su cui pesarono non poco le influenze del dibattito culturale francese, e parigino in particolare. L’artista vive dunque un’esistenza separata e contraddittoria, almeno questo è il messaggio che traspare da Les fleurs du mal di Baudelaire e dai testi dei più giovani Rimbaud e Verlaine, collocandosi in una zona d’ombra nella quale tutti gli antichi privilegi sono caduti (Baudelaire parlava a questo proposito di perdita dell’aureola, in una famosa prosa di Spleen de Paris). Il poeta andrà assumendo via via atteggiamenti diversificati, ma comunque non più inclini alla tradizione: anzi la rottura nei confronti della tradizione e del conformismo borghese sembrano alcuni dei motivi dominanti della stagione simbolista francese. Ma il caso dell’esperienza italiana assume significati completamente originali: in Italia, scrive ancora Asor Rosa, “non c’è una vera e propria rivoluzione decadente, se non come estenuazione, degradazione, esasperazione, filtraggio dell’elemento classicista, e al tempo stesso come suo adattamento, in termini linguistici e ideologici, ad uso sociale di massa”.
Di fronte alla tradizione classicista e ai modelli celebrati dalla poesia carducciana, nemmeno Pascoli e D’Annunzio seppero opporre un secco rifiuto, pur andando al di là del semplice segno impressionistico che Carducci aveva rappresentato. Un elemento di novità fu invece quello di manifestare una crisi e un distacco dal rigido schematismo scientifico introdotto dalla cultura positivistica. È vero ad esempio che il positivismo pascoliano filtrava nel linguaggio poetico sotto la veste di una lingua tecnica e specifica, spiccatamente gergale, quella che Gianfranco Contini definiva lingua post-grammaticale, ma la componente ideologica di questo atteggiamento restava decisamente coerente a una poetica dell’irrazionale, a una radicale messa in crisi di tutte le ideologie dominanti. E da questo punto di vista, l’utilizzo di un certo linguaggio può essere sintomatico di una concezione del mondo. “Quando si usa un linguaggio normale, vuol dire che dell’universo si ha un’idea sicura e precisa, che si crede in un mondo certo, ontologicamente molto ben determinato, in un mondo gerarchizzato dove i rapporti stessi tra l’io e il non-io, tra l’uomo e il cosmo sono determinati, hanno dei limiti esatti, delle frontiere precognite. Le eccezioni alla norma significheranno allora che il rapporto fra l’io e il mondo in Pascoli è un rapporto critico, non è più un rapporto tradizionale”.

II La visione del mondo

Il male il mistero e il rifiuto della lotta La visione del Pascoli espressa soprattutto nei suoi testi in prosa si presenta immobile senza svolgimenti sviluppi o evoluzioni, chiusa nel cerchio di una sofferta autobiografia,
Il tema centrale è il senso del mistero tipico tema del decadentismo, che domina il cosmo e avvolge l’esistenza sulla terra chiamata nella nota lirica X agosto
«atomo opaco del male»;
il positivismo, la scienza non è più in grado di decifrare e comprendere questo mistero:
«Tu sei fallita o scienza; ed è bene: ma sii maledetta che hai rischiato di far fallire l’altra La felicità tu non l’hai data e non la potevi dare ebbene se non hai distrutta, hai attenuata oscurata amareggiata quella che ci dava la fede».
L’uomo è un essere spaurito, regredito a fanciullo, vulnerabile. Il male è misteriosamente connaturato alla storia degli uomini, come dolore o come possibilità di degradazione e di imbestialimento. L’uomo quindi si rifugia in un suo nido, ritorna alle buone cose, alla natura “madre dolcissima”. Il nido è un tema fondamentale, un nodo di affetti, che si è sfasciato nella sua infanzia dopo la morte del padre, e che ha tentato, in tutti i modi di ricostruire.
Da qui nasce il messaggio pascoliano. quello che si può leggere ne I due fanciulli che durante il giorno litigano da venuta la sera dimenticano ciò che è successo e la madre li scopre dormienti uno accanto all’altro fraternamente abbracciati. Questa pacificazione fra gli uomini riguarda i popoli e le classi sociali. dopo i suoi trascorsi socialisti, per lui quindi la lotta di classe disgrega, mina alle fondamenta il nucleo sociale maggiore : la nazione.
Quindi il tema del nido si può intendere in due modi: come chiusura affettiva del poeta protetto nella propria famiglia che faticosamente si era costruito, ma anche chiusura alla storia e all’impegno sociale. Inoltre il nido è quello della sua famiglia questo nodo di affetti importantissimo si allarga fino all’idea nazionale. Il suo orizzonte quindi va gelosamente protetto come possiamo vedere in Nebbia o nel cantuccio ne L’ora di Barga

III La poetica de Il fanciullino

Il Fanciullino I venti capitoli del discorso in prosa de Il Fanciullino. costituiscono la sinesi più chiara e coerente della poetica di Pascoli. La forma definitiva è quella che si legge in Pensieri e Discorsi del 1907, ma la pubblicazione dei primi capitoli risale al 1897, sulla rivista fiorentina “Marzocco” di gennaio-aprile.
Il discorso procede con intonazione famigliare e col ritmo frantumato tipico della prosa parlata del Pascoli e coinvolge un interlocutore scolaro con argomentazioni semplici e in po’ artificiosamente ricondotte al livello dell’intuizione puerile.
Ragionando sulla poesia, nel saggio Il fanciullino, il Pascoli propone i termini essenziali della sua visione; nel mondo rappresentato come sistema misterioso, il poeta è diventato un fanciullo inconsapevole eppure dotato di intuizioni rivelatrici, con un atteggiamento di fronte al mondo di verginale stupore di “primitivo”. La condizione della poesia è la condizione stessa dell’infanzia.
Questo Fanciullino si trova in ognuno di noi anche se può smarrirsi la sua voce nei travagli della vita
Il suo spazio poetico è costituito dalle cose vicine, umili quotidiane. La poesia infatti è nelle cose, nascosta e occulta accessibile solo da parte di un interprete privilegiato come il fanciullo. Ma la scoperta dell’essenza poetica non ha nulla di razionale, e non produce comunicazione, ma piuttosto rivelazione per quanto vi è d’imprevedibile, di sorprendente.
La parola del poeta è discordante e dissonante con la nozione comune delle cose, perchè vengono viste dal fanciullino con occhi nuovi, non logici, ma pre-logici, mitici : scopre relazioni e analogie arcane fra gli oggetti, scopre particolari che nessuno riuscirebbe ad avvertire. Nel fanciullino Pascoli si sofferma a lungo su questo tema della dissonanza poetica, richiamandosi per esempio al messaggio mansueto e pacificatore di Virgilio in tempi di discordia e di guerra, o al dono della poesia omerica di evocare - proprio nel momento più tragico “quel particolare puerile che ti fa sciogliere in lacrime” Torna anche a ribadire il suo ideale di estraneità alla lotta, alla logica cattiva della storia, alle competizioni fra le classi.
Con le sue argomentazioni che sembrano a volte puerili il Pascoli esprime una fondamentale consonanza, sintonia con le poetiche del decadentismo europeo. Il suo poeta non ha “ruolo” è sottratto a compiti storici, è esonerato dall’impegno del vate, del pensatore e del persuasore, che con frasi tribunizie ammalia il popolo, anche se Pascoli crede al messaggio poetico come consolatore e dagli effetti umanitari, ma il poeta non deve giungere a questi effetti di proposito “non deve farlo apposta”. E’ anche simbolicamente il poeta, interprete di una cifra misteriosa di una realtà che sfugge al dominio razionale, tramata di arcane analogie e corrispondenze.
Implicito nel rifiuto di ogni compromissione con la storia è il tema della poesia “ senza aggettivi”, o della poesia pura, e non arcadica, verista o simbolista, è pura nel suo riprodursi a distanza di millenni. Il discorso sul linguaggio poetico ha invece caratteri più specifici. e offre la vera chiave di accesso alla dimensione espressiva della poesia pascoliana. Il linguaggio del poeta-puer consiste soprattutto nella «nomimazione delle cose», «è l’Adamo che mette il nome a tutto ciò che vede e sente» o il vecchio Omero che vede «tutto nuovo e bello». Il critico Renato Serra ha osservato che il mondo pascoliano «si trova, se così si può dire, al di fuori della letteratura, e consiste tutto di cose. o estrerne o interne; che di per sè sono naturalmente poetiche». Fuori della convenzione letteraria, sempre esclusiva e generalizzante, le cose anche minime dovranno vivere in virtù dei loro nomi.
Nel Fanciullino il Pascoli pone, come fortissimo elemento di rottura nei confronti della tradizione italiana, petrarchesca e aulica, il problema della nominazione specifica di piante, animali e attrezzi e cose: «Pensate ai fiori e agli uccelli, che sono dei fanciulli la gioia più grande e consueta: che nome hanno? S’ha sempre a dire uccelli, di quelli che fanno tuttavì esempio i di quelli che fanno croco? Basta dir fiori e fioretti, e aggiungere magari, vermigli e gialli, e non far distinzione tra greppo coperto di margherite e un prato gremito di crochi?»


I LE OPERE - testo dalla Prosa del Fanciullino

a) Primi paragrafi (I)

E’, dentro noi un fanciullino che non solo, ha brividi, come credeva Cebes tebano che primo in sè lo scoperse (...)

b) I poteri del fanciullino, poeta paragrafo (III)

Egli è quello dunque, che ha paura al buio, perchè al buio vede o crede di vedere, quello che alla luce sogna o crede di sognare, ricordando cose non vedute;
quello che parla alle bestie, agli alberi, ai sassi, alle nuvole, alle stelle. che popola l’ombra di fantasmi e il cielo di dei. Egli è quello che piange e ride senza un perchè, di cose che sfuggono ai nostri sensi e alla nostra ragione, Egli è quello che nella morte degli esseri amati esce a dire quel particolare puerile che ci fa sciogliere in lacrime, e ci salva. Egli è quello che nella gioia pazza pronunzia, senza pensarci, la parola grave che ci frena. Egli rende tollerabile la felicità e la sventura, temperandole d’amaro e di dolce, e facendone due cose ugualmente soavi al ricordo. Egli fa umano l’amore, perchè accarezza esso come sorella (oh! il bisbiglio dei due fanciulli fra un bramire di belve), accarezza e consola la bambina che è nella donna. Egli nell’interno dell’uomo serio sta ad ascoltare, ammirando le fiabe e le leggende, in quello dell’uomo pacifico fa echeggiare stridule fanfare di trombette e di pive, e in cantuccio dell’anima di chi non crede, vapora d’incenso l’altarino che il bimbo ha ancora conservato da allora. Egli ci fa perdere tempo quando noi andiamo per i fasti nostri, chè ora vuol vedere la cinciallegra che canta, ora vuol cogliere il fiore che odora, ora vuol toccar la selce che riluce. E ciarla intanto senza chetarsi mai; e, senza lui , non solo non vedremmo tante cose a cui non badiamo per solito, ma non potremmo nemmeno pensarle e ridirle, perchè egli è l’Adamo che mette il nome a tutto ciò che vede e sente. Egli scopre nelle cose le somiglianza e relazioni più ingegnose. Egli adatta il nome della cosa più grande alla più piccola. e al contrario: e a ciò lo spinge meglio stupore che ignoranza, e curiosità meglio che loquacità: impicciolisce per poter vedere, ingrandisce per poter ammirare.

c) Cap: VII La prosa del fancilullino

In questo capitolo, il Pascoli definisce la sua idea di poesia pura, «senza aggettivi» e svincolata da sentimenti di persuasione e di propaganda. Ma allo stesso tempo sottolinea l’utilità sociale della poesia, come afflato umanitario e fraterno e forza pacificatrice. Notevole è l’accento posto sulla dimensione del piccolo e del vicino. in una prospettiva che privilegia la chiusura intimistica.

(...) la poesia in quanto poesia, la poesia senza aggettivo ha una suprema utilità morale e sociale (...) Chi ben consideri, comprende che è il sentimento poetico il quale fa pago il pastore nella sua capanna. (:...) Per me altro, altro è sentimento poetico, altro è fantasia: la quale può essere bensì mossa e animata da quel sentimento , ma può anche non essere: Poesia è trovare nelle cose, come ho a dire? il loro sorriso e la loro lacrima, e ciò si fa da due occhi infantili, che guardano semplicemente e serenamente di tra l’oscuro tumulto della nostra anima..
A volte, non ravvisando essi nulla di luminoso e di bello nelle cose, che li circondano, si chiudono a sognare e a cercare lontano. Ma pur nelle cose vicine era quello che cercavano e non avervelo trovato, fu difetto. non di poesia nelle cose, ma di vista negli occhi.
(...) Or dunque intenso il sentimento poetico è di chi trova la poesia in ciò che lo circonda, e in altri soglia spregiare, non di chi non la trova lì e deve fare sforzi per cercarla, altrove. E sommamente benefico tale sentimento, che pone un soave e leggiero freno all’instancabile desiderio, il quale ci fa perpetuamente correre con per la via della felicità.
(...) Già in altri tempi vide un Poeta [si tratta di Virgilio] (io non sono nemmeno degno di pronunziare il tuo santo nome o Parthenias!), [da parthenos, vergine, pura,] vide rotolare per il vano circolo della passione le quadrighe vertiginose, e quei tempi erano simili a questi, e balenavano all’orizzonte la conflagrazione del mondo in una guerra di tutto contro tutti e d’ognuno contro ognuno, e quel Poeta sentì che sopra le fiere e i mostri aveva ancora più potere la cetra di Orfeo che la clava d’Ercole. E fece poesia senza pensare ad altro, senza darsi arie di consigliatore, di ammonitore, di profeta del buono e del malaugurio: cantò per cantare. l’effetto del suo canto grande fu certo se dura sino ad oggidì, vibrando con dolcezza nelle nostra * irrequiete. O rimatori di frasi tribunizie, che escludete dal tempo presente ogni poesia che non sia la vostra, vale a dire escludete la POESIA, ditemi; Era o non era al suo posto, nel secolo d’Augusto, il cantore delle Georgiche? Sì, non è vero Egli insegnava ad amare la vita in cui non fosse lo spettacolo nè doloroso della miseria nè invidioso della ricchezza; egli voleva abolire la lotta fra le classi e la guerra fra i popoli. Che volete voi, o poeti socialisti, che dite cose tanto diverse e le dite diversamente da lui?

Myricae (in generale)

1. Introduzione

Le vicende del testo Complessa è la vicenda editoriale di Myricae (tamerici, piccoli arbusti), la prima raccolta delle poesie pascoliane, che contò ben nove edizioni, dalla prima del 1891 all’ultima del 1911. I mutamenti, da un’edizione all’altra, riguardarono sia il numero dei componimenti (dalle 22 liriche della prima edizione del 1891 alle definitive 156 liriche dell’edizione del 1900) sia l’ordine interno e la distribuzione in sezioni (appena tre in Myricae 1892, quindici in Myricae 1897). Particolarmente importante è l’edizione del 1894, in cui diventa prevalente il tema funerario, cioè la celebrazione elegiaca dei lutti familiari, «rimossi» nelle prime due edizioni, quando il poeta non credeva ancora di dover porre al centro del proprio universo artistico il proprio «romanzo familiare». Il titolo è preso da Virgilio
«arbusta iuvant humilesque Myricae»,
esclusa la negazione iniziale «non ommes» ripete il secondo verso della IV Egloga ribaltandone il senso:
«piacciono gli arbusti e le basse tamerici».
Le tamerici vengono a significare gli umili oggetti dell’universo agreste. molto amati da poetae anche dallo stesso Virgilio, simbolo di una musa minore, agreste e pastorale.
Dedica L’opera è dedicata alla memoria del padre, si compone per successive elaborazioni, dal 1891 al 1903.
Nella prefazione del 1894 Pascoli designa i brevi componimenti di Myricae come
«frulli d’uccelli, stormire di cipressi, cantare di campane»;
e in effetti, ad una prima lettura, la raccolta appare come il diario di una serena giornata trascorsa in campagna, a diretto contatto con i canti degli uccelli, i lavori agricoli, il trascolorare delle ore (non a caso, Dall’alba al tramonto è il titolo di una delle sezioni dell’opera). Ma il lettore non tarda ad accorgersi che l’idillio georgico di Myricae è percorso da riferimenti inquietanti: la campagna si popola di luci sinistre e di minacciosi presagi ed è contemplata con un atteggiamento visionario e onirico. Anche il linguaggio, con la serie di vocaboli tecnici attinti dalla botanica e dalla zoologia (soprattutto dall’ornitologia) sembra a prima vista aderire agli aspetti più semplici della realtà campestre e del mondo familiare. Su questo apparente verismo di situazioni, descritto lessicalmente con precisione, interviene però una vasta gamma di voci che evocano le cose attraverso i puri suoni: è questo l’inconfondibile linguaggio pascoliano, definito da G. Contini «fono-simbolico» o «pre-grammaticale», che si giova di sorprendenti onomatopee e di fulminee analogie.
Lo sperimentalismo della raccolta risulta inoltre dalla varietà degli schemi metrici impiegati: terzine di endecasillabi o di settenari, strofe di ottonari o di novenari, quartine od ottave di endecasillabi, strofe di sei endecasillabi, strofe saffiche, ballate, madrigali. Tale ricchezza di sperimentazione linguistica e metrica induce a considerare ( sulla scorta di un lucido saggio di P.V. Mengaldo) le Myricae come un’opera autonoma e ben individuata, la più originale, insieme ai Poemetti, della produzione pascoliana.
Il nucleo centrale di Myricae è costituito della sezione L’ultima passeggiata, dove il quadretto di tipo veristico di Arano, cede subito il posto al bozzetto autunnale, intriso di una struggente malinconia, di Lavandare. Che al poeta sia del tutto estraneo il paesaggio urbano, è dimostrato dal madrigale La via ferrata, dove il treno (che tanta parte aveva nella poesia carducciana) si riduce a una via ferrata che attraversa la campagna con il suo fascio di fili metallici, i quali - conclude Pascoli con un famoso endecasillabo - «squillano, immensa arpa sonora, al vento».Esempi stupendi dell’impressionismo visionario di Pascoli sono le poesie Temporale e Il lampo, che dipingono una natura sconvolta e tragica, dinanzi alla quale l’uomo avverte la precarietà del suo destino: il fenomeno naturale diviene così il momento di un’«illuminazione» sulla realtà più profonda delle cose e della vita umana.
Al centro di Myricae domina il tema dei lutti familiari, narrato soprattutto nella lirica d’apertura, Il giorno dei morti: un vero e proprio poemetto, dove il poeta contempla, quasi in un lucido delirio, le tombe dei suoi cari morti e immagina che essi lamentino le loro sofferenze fisiche, dalle quali sono afflitti anche dopo la morte, e deplorino l’abbandono in cui i vivi li hanno lasciati. Aggressivi e dolenti, aspri e queruli, i morti di Pascoli sono presenze spettrali, al limite dell’orrore, come appare da questi versi, dove la lirica raggiunge il suo vertice visionario:
«Io vedo, vedo, vedo un camposanto, / oscura cosa nella notte oscura: / odo quel pianto della tomba [...1 Piangono. lo vedo, vedo, vedo. Stanno / in cerchio, avvolti dall’assidua tomba».
Con questa sua peculiare religione dei morti, Pascoli richiama i lettori dei suoi versi alle antiche radici dell’Italia contadina, legata al culto dei morti, e tenta di esorcizzare, con la liturgia del pianto, il male dominante nel mondo. È però inevitabile un cedimento al sentimentalismo, in un tempo in cui dura, dal 1886, il grande successo del Cuore di De Amicis: ed ecco che Pascoli insiste morbosamente sul tema della mortalità infantile (un fenomeno di indubbia verità sociologica) o della sofferenza dei bambini in poesie come Il morticino e Il rosicchiolo e in quelle della sezione Creature, tra le quali è Orfano, la lirica più famosa del gruppo. Purtroppo, Orfano è una poesia logorata dall’eccessivo consumo scolastico, come accade per il celeberrimo X agosto, sempre ammirato per il sapiente gioco di analogie. Presente nelle poesie citate e in tante altre, il tema dei morti raggiunge forse il culmine lirico in due poesie della sezione In campagna: L’assiuolo la rievocazione di una notte lunare la cui pace è insidiata dal «pianto di morte» di un piccolo uccello rapace, e Novembre, dove una serena giornata novembrina ricorda per un momento la lontana primavera, ma l’illusione è presto smentita dai rami spogli e dal cielo senza voli.

2. Lo stile

Stile Le poesie, prevalentemente, sono brevi, lo stile dimesso; si assiste via via alla formazione di un diario interiore del poeta, intimista e malinconico; i sonetti “cavallereschi”, popolati da visioni oniriche, sono seguiti da paesaggi autunnali e notturni dove il Pascoli pare distaccarsi dalla vita. Il dolore entra a far parte del paesaggio, in un alternarsi di dolcezza e tristezza che cerca una corrispondenza tra il sentire dell’autore e le cose che lo circondano.
Vi si possono in ogni modo distinguere due sviluppi fondamentali: quello della memoria, dell’elegia legata ai simulacri del mondo dell’infanzia e alla dolce e ossessiva onnipresenza dei morti; e quello più propriamente agreste e rusticale, con diffusi richiami al lavoro, alla vita domestica, al colore del paesaggio, al ritmo delle stagioni, talvolta con riecheggiamenti il canto popolare.
La visione si focalizza saltuariamente nell’Io del poeta, che continuamente si spersonalizza nel breve racconto fiabesco, nel frammento parlato, nel bozzetto idillico, oppure - quando non si tratta di memoria e di elegia - si assume la semplice funzione di registrare impressioni visive e uditive.le prospettive in Pascoli tendono a moltiplicarsi ed ad alterarsi, col risultato di un diffuso relativismo di valori e di proporzioni.
L’operazione poetica teorizzata nel Fanciullino, dove si parla della singolare facoltà del poeta- puer di “impicciolire” le cose grandi e di “ingrandire” le cose piccole, è constatabile in numerosi componimenti,
Nel sonetto il Bove si dà l’esempio di un’ottica deformata del paesaggio, del cielo, degli uomini. In altri casi sembra dilatarsi il microcosmo delle cose umili, o il fenomeno grande e pauroso ridursi a percezioni domestiche:

Passò scrosciando e sibilando il nero
nembo: or la chiesa squilla; il tetto rosso
luccica; un fresco odor dal cimitero
viene, di bosso.


Il mondo di Myricae è popolato di cose e di immagini, l’analitica nominazione delle cose. piante animali, strumenti di lavoro, arredi domestici, farebbe pensare ad un’attitudine realistica del Pascoli, se non sapessimo che questa nominazione fa parte delle magiche facoltà del fanciullino, della sua disposizione ad attrarre il mondo nella sfera del proprio stupore. In realtà il Pascoli non descrive ma, come dicevamo, registra impressioni. Un aspetto tipico dell’impressionismo di Myricae è la composizione a macchie di colore:
Nel campo mezzo grigio e mezzo nero... (Lavandare)


Un bubbolio lontano...
Rosseggia l’orizzonte,
come affocato, a mare;
nero di pece, a monte,
stracci di nubi chiare:
tra il nero d’un casolare:
un’ala di gabbiano.
(Temporale)


Tuttavia la forza innovativa del libro investe soprattutto le strutture linguistiche:

a) Novità linguistica

Usa un linguaggio
pre-grammaticale. è il linguaggio di suoni dei bambini che usano un linguaggio tutto loro personale
grammaticale: quello normalmente usato nella comunicazione interpersonale e letteraria, che presuppone una visone del modo sicura razionale senza incertezze
post-grammaticale, introducendo dei termini nuovi specifici che appartengono, alle lingue speciali devono ancora entrare nel vocabolario nell’uso comune es: laveggio, zeppola, necci, ballotte, vincigli

3. Il lessico, ampliato considerevolmente rispetto alla tradizione letteraria che si rifa’ a Petrarca che usa un lessico povero e aristocraticamente selezionato. In Myricae il vago e l’infinito lascino il posto alla determinazione specifica. Liquidata la convenzione platonica degli alberi, dei fiori, degli augelli, una vasta terminologia botanica e zoologica e ornitologica, irrompe nel mondo della poesia Novità anche per gli oggetti nominati: piccole cose, presenze alternative, presenze umili, accanto a piante nobili. inoltre una grande immissione di termini gergali, soprattutto legati al lavoro dei campi

a) Novità strutturale

Le sue poesie rispecchiano la sua visone del mondo e che vede la natura come un mistero da penetrare, non attraverso le categorie logiche, scientifiche del Logos, come era nella tradizione ma in forme nuove che infrangono l’ordine logico, la coerenza fra il prima e il dopo, congruenza fra i vari aspetti delle cose, la nettezza di disegno e di definizione cioè le regole d’oro della poesia tradizionale sino a Carducci cioè della costante classico-razionalista della poesia italiana ed europea. Pascoli è il poeta anticlassico per eccellenza.
Dice Barberi Squarotti
«Narrare per allusioni, riprese spesso foniche dove il nucleo del discorso non è mai completamente esplicitato, narrare per analogie verbali, per catene di ripetizioni i trama. La parola gira intorno senza amai affrontare il discorso e chiarirlo appieno, lasciando un margine d’ombra più o meno vasto d’ombra, di suggerito, di allusivo, in modo da rinviare sempre a qualcosa che è oltre la parola stessa (..) narra per improvvise illuminazioni, per dichiarazione di esistenza di oggetti disparati. Opera vertiginosi salti di prospettiva da oggetto a oggetto, dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande e viceversa. i fenomeni sono tenuti insieme da una trama segreta, allusiva che rimanda sempre a qualcosa prima e dopo il detto, dando il senso di una vicenda simbolica che non conosce soste ne arresti né soluzioni di continuità»

2. Sintassi processo di frantumazione di scadimento del tessuto sintattico, evidente specialmente nei componimenti d’impressione: elissi, assenza del verbo, accostamento di percezioni separate, ma anche il quelli in cui si riproduce il parlato nelle sue sospensioni emotive. Prevale quindi la paratassi

St! un rumore... ai labbri ti si porta
la penna, un piede dondola... Che cosa?
Nulla: un tarlo, un brandir lieve di porta...
Oh! mamma dormi e sogna... che sei sposa.
(Un rumore)

b) Novità metrica

Pascoli introduce una novità rispetto alla tradizione, poiché usa i generi metrici della tradizione ma li rinnova dall’interno, sottoponendo le tensioni e forzature. Quando il Pascoli abbandona il ritmo del canto facile e della filastrocca popolare, i suoi versi possono presentare difetti o eccedenze di misura;
Tra gli argini su cui mucche tranquilla-
mente pascolano....
(La via Ferrata)

4. Figure Retoriche

Fonosimbolismo La novità più rilevante della rivoluzione di Myricae la parola diventa strumento imitativo del suono , non limitata alla onomatopea, ma estesa alle figure dell’assonanza e dell’alitterazione. canti di uccelli, rintocchi di campane, sequenze di echi e di voci e altre più vaghe e segrete risonanze costituiscono, dopo questo primo libro, un segno distintivo della poesia del Pascoli.

Verifica storia Prima guerra mondiale

IPSSAR «GIUSEPPE MAFFIOLI» CASTELFRANCO VENETO
a.c. 2009-2010 – CLASSE V .......................
VERIFICA PRIMA GUERRA MONDIALE

NOME ....................................
COGNOME .................................
DATA ....................................


1. Il 28 giugno 1914 a Sarajevo fu ucciso
a) l’imperatore austriaco Francesco Giuseppe
b) l’imperatore austriaco Carlo I
c) l’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono d’Austria
d) l’imperatore tedesco Guglielmo II, in visita all’Impero austro-ungarico

2. Una delle principali cause della prima guerra mondiale fu
a. la secolare rivalità fra l’Austria e la Russia per il predominio nella Penisola balcanica
b. la rivalità coloniale fra l’Italia e la Russia
c. il desiderio di rivincita dei Francesi nei confronti degli Inglesi
d. la presenza di varie nazionalità all’interno del Regno di Gran Bretagna

3. Il primo conflitto mondiale fu una lunga guerra di posizione perché
a. gli eserciti si spostavano rapidamente da un luogo all’altro
b. gli eserciti nemici si fronteggiavano in condizioni di sostanziale equilibrio, usando le trincee
c. era particolarmente curata la posizione dell’artiglieria e delle mitragliatrici
d. a ogni soldato era assegnato il posto di combattimento più adatto alle sue caratteristiche

4. Quando iniziò la guerra mondiale, i sostenitori della neutralità italiana furono
a. alcuni intellettuali, come Gabriele D’Annunzio e Giovanni Papini
b. gli alti ufficiali dell’esercito e i frequentatori dell’ambiente di corte
c. gli irredentisti e i nazionalisti
d. i liberali, guidati da Giovanni Giolitti, i cattolici e i socialisti

5. L’Italia dichiarò guerra all’Austria-Ungheria il
a. 28 luglio 1914
b. 24 maggio 1915
c. 4 agosto 1914
d. 6 aprile 1917

6. La Strafexpedition (spedizione punitiva) fu effettuata
a. dalle truppe austro-bulgare contro la Serbia, che fu occupata
b. dagli Austriaci contro gli Italiani; permise alle truppe austriache di occupare Asiago
c. dai Tedeschi contro i Francesi a Verdun
d. dai Tedeschi contro i Russi presso i Laghi Masuri

7. La battaglia della Somme (giugno-settembre 1916)
a) permise ai Russi di fermare l’avanzata dei Tedeschi nel loro Stato
b) segnò la sconfitta definitiva dell’esercito austriaco
c) consentì all’Intesa di tenere il fronte francese, ma costò un milione di vittime
d) consentì agli Imperi centrali di respingere l’attacco francese, limitando le perdite di uomini

8. Gli Stati Uniti d’America entrarono in guerra a fianco dell’Intesa perché
a. la guerra sottomarina dei Tedeschi danneggiava i loro commerci con l’Inghilterra, la Francia e l’Italia
b. volevano difendere il regime dello zar in Russia
c. il loro esercito doveva sopperire alle forti perdite subite dagli Alleati
d. in caso di vittoria desideravano partecipare alla spartizione dell’Austria e della Germania

9. Il 24 ottobre 1917 l’esercito italiano subì una gravissima sconfitta a
a. Vittorio Veneto
b. Gorizia
c. Asiago
d. Caporetto

10. Nell’ottobre del 1917, in Russia era in corso
a. la rivoluzione che consentì ai comunisti, guidati da Lenin, di assumere il potere
b. la controffensiva dell’esercito, che fece prigionieri ben 400000 soldati nemici
c. il consolidamento del regime zarista
d. la trattativa per la pace separata con gli Stati Uniti d’America

11. L’Accordo di Brest-Litovsk fu siglato fra
a. la Gran Bretagna e la Germania
b. il governo russo, nato dalla rivoluzione d’ottobre, e gli Imperi centrali
c. l’Italia e l’Austria-Ungheria
d. il governo russo, nato dalla rivoluzione d’ottobre, e la Francia

12. Il cosiddetto «fronte interno» era costituito
a. dalla linea di trincee più lontana dallo schieramento nemico
b. dai camminamenti protetti, che conducevano i soldati dalle retrovie alla prima linea
c. da tutta la popolazione mobilitata per garantire ai militari le risorse necessarie
d. dai soldati che combattevano nelle trincee

13. L’esercito italiano ottenne la definitiva vittoria sugli Austriaci, a Vittorio Veneto, il
a. 3 marzo 1918
b. 29 ottobre 1918
c. 3 novembre 1918
d. 11 novembre 1918

14. Durante la Conferenza di Pace di Parigi le decisioni più importanti furono prese
a. dai rappresentanti delle quattro potenze vincitrici
b. dai rappresentanti di tutti gli Stati coinvolti nel conflitto
c. dal presidente degli Stati Uniti d’America, Woodrow Wilson
d. dai rappresentanti della Germania e della Gran Bretagna

15. Alla conclusione delle trattative di pace l’Italia ottenne
a. tutti i territori promessi col Patto di Londra del 26 aprile 1915
b. il Trentino, la Venezia Giulia e la città di Fiume
c. il Trentino, la Venezia Giulia e le ex colonie tedesche dell’Africa
d. il Trentino, l’Alto Adige, la Venezia Giulia e Trieste

RISPONDI ALLE SEGUENTI DOMANDE UTILIZZANDO LO SPAZIO CHE TI SARÀ INDICATO DALL’INSEGNANTE.

1. Elenca le principali vicende belliche sul fronte italo-austriaco fra il 1916 e il 1918.
2. Dai trattati di pace del 1919 scaturì un nuovo assetto dell’Europa. Quali furono i principali cambiamenti?
Completa il cruciverba e scoprirai il luogo di una famosa battaglia (10)

Tracce temi di quarta e quinta dicembre 2009

IPSSAR «Maffioli» Castelfranco Veneto

Anno scolastico 2009-2010

Tracce compito di italiano (dicembre 2009) una da svolgere in classe e un’altra per casa da consegnare dopo le vacanze di Natale

1. Partendo dall’episodio di violenza nei confronti del premier avvenuto qualche giorno fa, parla del clima politico che si è creato. Di chi è la responsabilità? Ricordi altri fatti simili? Come valuti le reazioni che ci sono state? Hai seguito il dibattito? Qual è la tua posizione? Motiva le tue ragioni in un testo argomentativo.

2. Prendendo spunto da un film che hai visto o da un libro che hai letto, scrivi una recensione. Per il FILM: trama, musica, scena madre, interpretazione, confronto con altri film dello stesso genere, giudizio conclusivo; per il LIBRO: come l’hai scoperto? perché l’hai letto? L’autore, trama, argomento, personaggi, giudizio globale, perché lo consiglieresti?

3. Intervista a me stesso. Le domande che nessuno mi ha mai fatto e le risposte che non ho mai dato. Ecco alcuni esempi: come vivi le emozioni: la paura, l’amore l’aggressività? Qual è il tuo maggiore pregio o maggiore difetto? Quali sono le situazioni che ti hanno dato maggior dolore o maggiore felicità? In quali circostanze ti sei arrabbiato l’ultima volta? Quali persone ti hanno deluso? Che musica ascolti? Qual è il dolore fisico più consistente che hai dovuto sopportare? Sei pessimista oppure ottimista? Qual è il tuo sogno nel cassetto?

4. La solitudine è una condizione della vita umana, purtroppo in crescita, mancando spesso le occasioni di incontro che la vita di qualche decennio fa offriva con maggiore frequenza. La solitudine: una condanna o un’opportunità? Sei socievole o solitario? Fai qualche riferimento a testi poetici o di canzoni che conosci in forma di articolo di giornale

5. Immagina di scrivere due lettere: nella prima un amico ti comunica di voler lasciare la scuola. Cerca di ipotizzare quali potrebbero essere le sue motivazioni. Nella seconda invece scrivi la risposta, cercando di convincerlo a cambiare idea.

6. Se dovessi organizzare le vacanze dei tuoi sogni in qualche sperduto luogo del pianeta, dove andresti? Con chi? Quando? Con quale mezzo? Con quanti soldi? Cosa dovrei assolutamente vedere? Che cosa ti piacerebbe mangiare? Chi vorresti incontrare? Redigi il resoconto come se il viaggio fosse effettivamente avvenuto

7. Se fossi il Sindaco della tua città che cosa faresti? Quali priorità dovresti affrontare? Che cosa proporresti di fare per giovani? E per gli anziani? Proponi un breve discorso dove esponi il tuo programma politico. Cerca di essere convincente.

8. Se dovessi fare un processo ai comportamenti dei giovani della tua generazione come li giudicheresti? Immagina di essere il pubblico ministero e di formulare i capi d’accusa. Quali sono più gravi? I comportamenti da censurare? E’ una generazione realizzata oppure no? Quali responsabilità intravvedi? Quali limiti? Formula anche un breve discorso dell’avvocato difensore sottolineando i valori e gli aspetti positivi da segnalare. Infine formula la sentenza del giudice: condanna o assoluzione?

9. Un ragazzo e una ragazza stanno discutendo animatamente: litigano? Perché? Su quali argomenti? Che relazione c’è fra i due? Scegli un ambiente e un periodo particolare dove ambientare la scena. Scrivila come se si trattasse di una rappresentazione teatrale o di una sceneggiatura di un film. Scegli infine i nomi dei protagonisti.

TIPOLOGIA - B -

REDAZIONE DI UN "SAGGIO BREVE" O DI UN "ARTICOLO DI GIORNALE"

CONSEGNE

Sviluppa l’argomento scelto o in forma di “saggio breve” o di “articolo di giornale”, utilizzando i documenti e i dati che lo corredano.
Se scegli la forma del “saggio breve”, interpreta e confronta i documenti e i dati forniti e su questa base svolgi, argomentandola, la tua trattazione, anche con opportuni riferimenti alle tue conoscenze ed esperienze di studio.
Da’ al saggio un titolo coerente con la tua trattazione e ipotizzane una destinazione editoriale (rivista specialistica, fascicolo scolastico di ricerca e documentazione, rassegna di argomento culturale, altro). Se lo ritieni, organizza la trattazione suddividendola in paragrafi cui potrai dare eventualmente uno specifico titolo.
Se scegli la forma dell’ “articolo di giornale”, individua nei documenti e nei dati forniti uno o più elementi che ti sembrano rilevanti e costruisci su di essi il tuo ‘pezzo’. Da’ all’articolo un titolo appropriato ed indica il tipo di giornale sul quale ne ipotizzi la pubblicazione (quotidiano, rivista divulgativa, giornale scolastico, altro). Per attualizzare l’argomento, puoi riferirti a circostanze immaginarie o reali (mostre, anniversari, convegni o eventi di rilievo). Per entrambe le forme di scrittura non superare le quattro o cinque colonne di metà di foglio protocollo.

AMBITO SOCIO – ARTISTICO-LETTERARIO

Argomento: La solitudine come scelta di vita o dura necessità
DOCUMENTI

«Io odo la mia patria che grida: - Scrivi ciò che vedesti Manderò la mia voce dalle rovine e ti detterò la mia storia. Piangeranno i secoli su la mia solitudine, e le genti s’ammaestreranno nelle mie disavventure».
(U. FOSCOLO, Ortis, 4 dicembre)

«O antica mia solitudine! Ove sei tu? Non v'è gleba, non antro, non albero che non mi riviva nel cuore alimentandomi quel soave e patetico desiderio che sempre accompagna fuori dalle sue case l'uomo esule, e sventurato. Parmi che i miei piaceri e i miei dolori, i quali in que' luoghi m'erano cari - tutto insomma quello ch'è mio, sia rimasto tutto con te; e che qui non si trascini pellegrinando se non lo spettro del povero Jacopo».
(U. FOSCOLO, Ortis, Firenze 7 dicembre)

Oimè, quanto somiglia
Al tuo costume il mio! Sollazzo e riso,
Della novella età dolce famiglia,
E te german di giovinezza, amore,
Sospiro acerbo de' provetti giorni,
Non curo, io non so come; anzi da loro
Quasi fuggo lontano;
Quasi romito, e strano
Al mio loco natio,
Passo del viver mio la primavera.
(...)
Io solitario in questa
Rimota parte alla campagna uscendo,
Ogni diletto e gioco
Indugio in altro tempo:
G. LEOPARDI Canti, Il passero solitario

La prima notte sostò in una cantoniera della valle, ma non poté dormire. La notte era limpida e dolce; sul cielo bianco sopra la valle chiusa da colonne di rocce la luna pendeva come una lampada d'oro dalla volta d'un tempio: ma un uomo malato gemeva nella cantoniera triste come una stalla, e il dolore umano turbava la solitudine. (...) Anche la donna ebbe paura della solitudine e di quella morte improvvisa.
(G. DELEDDA, Canne al vento)

Maria dritta e sfrontata per l'onore, se ne viene da me, mi mette il braccio sotto e ce ne saliamo a Montedidio con gli occhi della gente sulla schiena. Com'è importante stare a due, maschio e femmina, per questa città. Chi sta solo è meno di uno.
(E. DE LUCA, Montedidio)

«Può darsi che la solitudine distrugga l'uomo, così come ha fatto con Pascal, Hòlderlin e Nietzsche. Ma questo fallimento, questa frattura, sono comunque più degni di un uomo di pensiero di quanto non lo sia la sua connivenza con un mondo che prima lo contagia con le sue seduzioni dolci e perverse e poi lo scaraventa nella fossa. Tu precipita più in basso, nella voragine della solitudine. Perirai ugualmente, ma con la tua caduta avrai sostenuto il destino che governa la tua anima e la tua opera. Rimani solo e ricorda. Rimani solo e osserva. Rimani solo e rispondi. Non illuderti: non esistono soluzioni diverse. Rimani solo, anche a costo della vita»
(S. MARAI, Cielo e terra).

sabato 2 gennaio 2010

capitolo 4. La shoah e la letteratura

Anna Frank, dal Diario,
Vorrei (1)

Son morto con altri cento
Son morto ch'ero bambino
Passato per il camino
E adesso sono nel vento,
E adesso sono nel vento.


(LETTRICE) Anna Frank, figlia di un banchiere di Francoforte, a causa delle leggi razziali, emigrò, ad Amsterdam, con la sua famiglia. Dopo l’invasione tedesca dell’Olanda, è costretta a trasferirsi con i suoi familiari, in un alloggio segreto, fino al 4 agosto del ’44, quando dei vicini li segnalano ai nazisti che penetrano nel rifugio li deportano tutti ad Auschwitz, e poi a Bergen Belsen. Pochi mesi dopo, Anna Frank, malata di tifo, morirà.
Il famoso Diario fu trovato nell’alloggio segreto e consegnato al padre, unico superstite della tragedia. Questi lo pubblicò nel 1947, col titolo tedesco, che, tradotto in italiano significa: Il retrocasa. Il diario è tenuto dal giugno del ’42 all’agosto del ’44. E’ la toccante testimonianza delle contraddizioni ed inquietudini di un’adolescente , e nello stesso tempo, della tragedia di un’epoca e di un intero popolo.
Nel diario si confida con Kitty. un’amica immaginaria. Riportiamo un brano, solo apparentemente poco rilevante, ma che mostra invece il dramma della privazione della libertà, a cui la situazione della persecuzione nazista l’ha costretta, proprio nel momento in cui sente nel suo cuore, colmo di mille desideri, il soffio vitale della primavera.

PRESENTATRICE) Sabato 12 febbraio 1944

LETTRICE)
Cara Kitty, splende il sole, il cielo è azzurro intenso, soffia un venticello meraviglioso e vorrei tanto… vorrei… tutto. Parlare, essere libera, avere amici, essere sola. Vorrei tanto… piangere! Mi sembra di scoppiare e so che se piangessi starei meglio, ma non posso farlo, sono inquieta, passo da una stanza all’altra, respiro l’aria di una fessura di una finestra chiusa, mi sento battere il cuore, come se dicesse: - esaudisci finalmente il mio desiderio.
Penso che sia la primavera, avverto il risveglio, lo sento nel corpo e nell’anima. Devo sforzarmi di agire in modo normale, sono totalmente confusa, non so cosa leggere, cosa scrivere, cosa fare, so soltanto che vorrei…



Primo Levi, Se questo è un uomo
L’ultima razione (2)

Ad Auschwitz tante persone
Ma un solo grande silenzio
È strano, non riesco ancora
A sorridere qui nel vento,
A sorridere qui nel vento


(LETTRICE) Primo Levi, nato a Torino nel 1919, laureato in chimica, nel 1944 subì, per la sua origine ebraica la deportazione e la prigionia nel campo di concentramento di Auschwitz. Fu uno dei pochissimi superstiti solo perché la scarsità della manodopera consigliò ai Tedeschi, come ricordava egli stesso, di «sospendere temporaneamente le uccisioni». Dopo una intensa vita di lavoro, come chimico e letterato, è morto suicida a Torino nel 1987.
Il libro Se questo è un uomo, scritto di getto nel 1946, e pubblicato nel 1947, descrive la propria «discesa agli inferi», nell’inferno del Lager di Auschwitz. Il fatti seguono un ordine cronologico e mettono nudo i meccanismi che conducono progressivamente alla degradazione e alla disumanizzazione, cominciando con la spoliazione della dignità e la riduzione della persona a «cosa», ad un anonimo numero.
L’autore cerca di capire e di spiegare, a se stesso prima ancora che agli altri, i motivi di un fenomeno tanto perverso come l’antisemitismo, ma l’amara conclusione è che nulla può spiegare la tragedia dei campi di concentramento, e che forse «quanto è avvenuto non si può comprendere, anzi, non si deve comprendere, perché comprendere è quasi giustificare».

Nel capitolo intitolato «Ottobre» racconta un giorno di «selezione», quando i vecchi, i malati e gli inabili al lavoro, separati dagli altri, vengono avviati alla camera a gas. Qualche errore è sempre in agguato.

(LETTORE) Il nostro Blockältester (Kapò) conosce il suo mestiere. Si è accertato che tutti siano rientrati, ha fatto chiudere la porta a chiave, ha distribuito a ciascuno la scheda che porta la matricola, il nome, la professione, l'età e la nazionalità, e ha dato ordine che ognuno si spogli completamente, conservando solo le scarpe. In questo modo, nudi e con la scheda in mano, attenderemo che la commissione arrivi alla nostra baracca. (…)
Qui, davanti alle due porte, sta l'arbitro del nostro destino, che è un sottufficiale delle SS. Ha a destra il Blockältester, a sinistra il furiere della baracca. Ognuno di noi, che esce nudo dal Tagesraum nel freddo dell'aria di ottobre, deve fare di corsa i pochi passi fra le due porte davanti ai tre, consegnare la scheda alla SS e rientrare per la porta del dormitorio. La SS, nella frazione di secondo fra due passaggi successivi, con uno sguardo di faccia e di schiena giudica della sorte di ognuno, e consegna a sua volta la scheda all'uomo alla sua destra o all'uomo alla sua sinistra, e questo è la vita o la morte di ciascuno di noi.


(LETTRICE) A volte si scambiano le schede. Il vecchio Khun, che è stato fortunosamente risparmiato, prega dondolando il corpo, come fanno gli ebrei nella loro preghiera, ringraziando Dio che lo ha salvato dalla camera a gas. Scrive Primo Levi:

(LETTORE) «Kuhn è un insensato. Non vede, nella cuccetta accanto, Beppo il greco che ha vent'anni, e dopodomani andrà in gas, e lo sa, e se ne sta sdraiato e guarda fisso la lampadina senza dire niente e senza pensare più niente? Non sa Kuhn che la prossima volta sarà la sua volta? Non capisce Kuhn che è accaduto oggi un abominio che nessuna preghiera propiziatoria, nessun perdono, nessuna espiazione dei colpevoli, nulla insomma che sia in potere dell'uomo di fare, potrà risanare mai più? Se io fossi Dio, sputerei a terra la preghiera di Kuhn»


Ad Auschwitz tante persone
Ma un solo grande silenzio
È strano, non riesco ancora
A sorridere qui nel vento,
A sorridere qui nel vento



Capitolo quattro: La letteratura e la shoah

Elisa Splenger: il cerotto (3)

Io chiedo, come può un uomo
Uccidere un suo fratello
Eppure siamo a milioni
In polvere qui nel vento,
In polvere qui nel vento.


(Martina) Passiamo ad un'altra testimonianza di una sopravissuta, Elisa Splenger, nata a Vienna nel 1918, deportata ad Auschwitz e in altri campi di concentramento. Nel 1946 si trasferisce in Italia. Ora vive con la famiglia a Mandria, in provincia di Taranto
Scrive un libro, Il silenzio dei vivi, dove racconta il periodo vissuto tra i campi di concentramento, e fra questi anche quello dove fu detenuta e poi mori Anna Frank (Theresienstadt). E’ rimasta in silenzio per cinquant’anni come moltissimi altri sopravissuti non riuscendo a raccontare ciò che era loro capitato, perché pensava che non sono state ancora inventate le parole giuste per raccontare tanto dolore. Per questo nasconde con un cerotto il numero tatuato sul braccio con cui è stata marchiata. E’ stata l’insistenza del figlio a convincerla a scrivere perché non si dimentichi mai che a «Birkenau il portone della morte non si richiuderà mai più sulla memoria».
Riportiamo un breve episodio della sua storia dove racconta come il numero che gli era stato tatuato sul braccio scompaia sotto un cerotto. Tuttavia ma la ferita e nel corpo nell’anima è troppo grande perché possa essere sepolta per sempre nel silenzio

(Tiziana) «
Ci aspettava l’ultima fase di iniziazione a questa nuova vita: la marchiatura.
Questa operazione veniva eseguita con un ago rovente simile a un pennino e precedeva l’assegnazione alle baracche. (…)
Da quel momento scomparivamo come esseri umani, diventando numeri per la macchina di sterminio del Reich.
A me fu tatuato il numero A-24020, che ancora oggi deturpa il mio avambraccio sinistro. Molte volte ha suscitato curiosità in quanti non ne conoscevano il significato.
Tantissimi anni fa, quando ancora insegnavo, spesso i ragazzi mi chiedevano cosa significasse quel numero. Io rispondevo accennando ai campi di sterminio e alla mia triste esperienza, ma loro non capivano e qualcuno rideva.
Fu così che decisi di nascondere il mio tatuaggio con un cerotto, chiudendomi sempre più nel silenzio.
Non volevo sentirmi diversa, non volevo sentirmi osservata: decisi che avrei tenuto solo per me il mio passato, non parlai più. Un giorno Silvio, mio figlio, si accorse del cerotto sul braccio e preoccupato me ne chiese il motivo.
Gli confessai che volevo nascondere quel marchio di riconoscimento agli occhi degli altri: il loro scherno e la loro indifferenza mi ferivano».


Capitolo quattro: (La shoah e la letteratura)

Primo Levi, Se questo è un uomo

Il pane della discordia - (4)

Ancora tuona il cannone,
Ancora non è contenta
Di sangue la belva umana
E ancora ci porta il vento,
E ancora ci porta il vento


Un cucchiaio più prezioso dell’oro

LETTRICE) La fame non consiste nelle semplice sensazione di aver saltato un pasto è qualcosa di molto più terribile e ci vorrebbe un’altra parola per esprimerlo. Così come capita per la parola «inverno». Nel lager questo termine assume un significato completamente diverso rispetto a quello che noi siamo abituati a considerare.

LETTORE)
«Noi diciamo «fame », diciamo «stanchezza », «paura», e «dolore», diciamo «inverno», e sono altre cose. (…) Se i Lager fossero durati piú a lungo, un nuovo aspro linguaggio sarebbe nato; e di questo si sente il bisogno per spiegare cosa è faticare l'intera giornata nel vento, sotto zero, con solo indosso camicia, mutande, giacca e brache di tela, e in corpo debolezza e fame e consapevolezza della fine che viene».


LETTRICE) La fame nel Lager è «cronica» «che fa sognare la notte e siede in tutte le membra del nostro corpo» e accompagna la vita dell’internato giorno e notte. «Il lager è la fame: noi stessi siamo la fame, la fame vivente». La fame provoca «fantasie» simili a quelle sessuali. Levi sogna la pasta asciutta appena cotta nella sua casa di Torino e prelibatezze di ogni tipo.
Se un internato nel Lager si adegua completamente alla vita che gli viene imposta dall’organizzazione del campo, è destinato a soccombere, ad essere uno dei tanti sommersi della storia. La sveglia è alle quattro e la distribuzione del pane alle cinque e mezza.

(LETTORE)
«Ed ecco giunge, ahi quanto presto, la sveglia. L'intera baracca si squassa dalle fondamenta, le luci si accendono, tutti intorno a me si agitano in una repentina attività frenetica: scuotono le coperte suscitando nembi di polvere fetida, si vestono con fretta febbrile, corrono fuori nel gelo dell' aria esterna vestiti a mezzo, si precipitano verso le latrine e il lavatoio: molti, bestialmente, orinano correndo per risparmiare tempo, perché entro cinque minuti inizia la distribuzione del pane, del pane-Brot-Broit-chleb-pain-lechem-kenyer, del sacro blocchetto grigio che sembra gigantesco in mano del tuo vicino, e piccolo da piangere in mano tua. È una allucinazione quotidiana, a cui si finisce col fare l'abitudine: ma nei primi tempi è così irresistibile che molti fra noi, dopo lungo discutere a coppie sulla propria palese e costante sfortuna, e sfacciata fortuna altrui, si scambiano infine le razioni, al che l'illusione si ripristina invertita lasciando tutti scontenti e frustrati.
Il pane è anche la nostra sola moneta (…) » (p. 33)


(LETTRICE) La sopravvivenza può essere sperata soltanto se i condannati riusciranno a contravvenire alle regole garantendosi, qualche piccolo oggetto non consentito, come un cucchiaio, che è possibile ottenere per tre «razioni di pane» oppure un chiodo, un bottone e uno spago, un filo di ferro o altro. Il Lager non fornisce il cucchiaio, simbolo della ritualizzazione del mangiare, i deportati devono consumere la «zuppa» come degli animali. Gli infermieri quindi traggono notevole profitto dal commercio dei cucchiai. I malati, in infermeria possono compare un cucchiaio con il manico, e una lama affilata che serve anche da coltello, ma quando usciranno «guariti», il cucchiaio verrà loro sequestrato e rimesso in vendita nella Borsa. Il «cucchiaio è un bene così prezioso che viene lasciato in eredità da quelli che «partono» a quelli che «rimangono».
Il pane che, anche nella religione cristiana, è segno di comunione e di condivisione. E’ un cibo emblematico, indispensabile che viene spezzato per essere diviso e donato. Nel campo di concentramento invece diventa una merce contesa, «moneta» di scambio per ottenere altri beni. Il pane vale più dell’oro e si racconta di alcuni deportati, si tolgono il rivestimento d’oro dei denti per ottenere una razione di pane in più. Il ritorno alla condivisione del pane diventerà alla fine del libro, il segno della ritrovata umanità e la fine della logica del Lager e della disumanizzazione dell’uomo.

(LETTORE)
«Quando fu riparata la finestra sfondata, e la stufa cominciò a diffondere calore, parve che in ognuno qualcosa si distendesse, e allora avvenne che Towarowski (un franco-polacco di ventitre anni, tifoso) propose agli altri malati di offrire ciascuno una fetta di pane a noi tre che lavoravamo, e la cosa fu accettata.
Soltanto un giorno prima un simile avvenimento non sarebbe stato concepibile. La legge del Lager diceva: «mangia il tuo pane, e, se puoi, quello del tuo vicino», e non lasciava posto per la gratitudine. Voleva ben dire che il Lager era morto. Fu quello il primo gesto umano che avvenne fra noi.
Credo che si potrebbe fissare a quel momento l’inizio del processo per cui, noi che non siamo morti, da Haftlinge siamo lentamente ridiventati uomini» (p. 171)

Io chiedo quando sarà

Che l'uomo potrà imparare
A vivere senza ammazzare
E il vento si poserà,
E il vento si poserà.

capitolo 2: La storia dell'antisemitismo

Capitolo secondo: Una storia misteriosa e travagliata
Alcune tappe dell’antisemitismo

Introduzione

(PRESENTATRICE) La storia dell’ebraismo è costellata di luci e ombre e da una lunghissima scia di dolore e persecuzione, che va dagli egiziani ai nazisti. Faremo ora un rapido viaggio attraverso quella storia soffermandoci per un attimo su alcune di queste tappe, scelte fra le tante possibili.

1. 586 A. C. LA CONQUISTA DI GERUSALEMME E L’ESILIO BABILONESE

By the rivers of babylon

By the rivers of babylon, there we sat down
Ye-eah we wept, when we remembered zion.

By the rivers of babylon, there we sat down
Ye-eah we wept, when we remembered zion.

When the wicked
Carried us away in captivity
Required from us a song
Now how shall we sing the lords song in a strange land

When the wicked
Carried us away in captivity
Requiering of us a song
Now how shall we sing the lords song in a strange land

Let the words of our mouth and the meditations of our heart
Be acceptable in thy sight here tonight

Let the words of our mouth and the meditation of our hearts
Be acceptable in thy sight here tonight

LETTORE 1 Partiamo da un evento, fra i più traumatici della storia degli ebrei: la caduta di Gerusalemme e del Regno di Giuda nel 586 a. C. Il popolo ebraico stabilitosi ormai in Palestina si è diviso in due regni: il regno di Israele, a nord, occupato da dieci delle dodici tribù di Israele, con capitale Samaria, e il regno di Giuda, occupato dalle altre due tribù, Giuda e Beniamino, nel Sud, con capitale Gerusalemme, governato per quattrocento anni da re della stirpe di Davide.
Il regno di Israele del Nord fu schiacciato dagli Assiri (722 a.C.), il suo popolo fu deportato in esilio e dimenticato. Più di un secolo più tardi, il re babilonese Nabucodonosor, il 1° marzo 587 conquista il Regno del Sud o di Giuda e la sua capitale, la città di Gerusalemme. La classe dirigente del Regno fu deporta a Babilonia. Tra i deportati c’é il profeta Ezechiele. Il re di Gerusalemme Sedecia, dopo aver assistito all’uccisione dei suoi figli, è accecato, e mandato prigioniero, a morire a Babilonia. Nabucodonosor riduce la città, come dice il profeta Geremia, a “desolazione e deserto”.

PRESENTATRICE) Vediamo ora un breve filmato che racconta questo episodio tratto dal film Geremia

VIDEO: l’accecamento di Sedecia e la distruzione della città)

I deportati qualche decennio dopo avranno il permesso di ritornare a Gerusalemme, così ricordano l’amaro esilio lungo i fiumi di Babilonia.

Lungo i fiumi laggiù in Babilonia,
sulle rive sedemmo in pianto
al ricordo struggente di Sion;
sopra i salici, là in quella terra,
appendemmo le cetre armoniose.

Salmo 137,5- Traduzione di Padre David maria Turoldo e Musica di Bepi De Marzi)

LETTORE 2) L'esilio babilonese, segna l'inizio della Diaspora ebraica ossia della dispersione degli ebrei nel mondo. Tuttavia in esilio a Babilonia cominciò a svilupparsi l'ebraismo come religione, sistema unico di idee e modo di vita. Fuori quindi dalla Terra di Israele. In questo modo l’ebraismo sopravvisse e salvò la propria identità spirituale e nazionale.

2. 70 D. C. DISTRUZIONE DEL TEMPIO DI GERUSALEMME E LA DIASPORA (FLAUTO O ALTRI STRUMENTI)

LETTORE 3 Facciamo un salto in avanti di seicentoquaranta anni siamo all’inizio dell’era cristiana. Nell’anno 30 d. C. è collocata la pasqua dei cristiani, i fatti della morte e resurrezione di Cristo. La Palestina è una provincia romana, governata dal procuratore Ponzio Pilato. E’ il periodo in cui si presentano sulla scena tanti Messia che vogliono liberare gli ebrei dalla dominazione straniera, perché essi riconoscono la sola Signoria del Dio di Israele di Abramo, Isacco e Giacobbe. Le ribellioni si susseguono fino alla grande rivolta del 66. d. C in conseguenza della quale, il futuro imperatore Tito, assedia la città di Gerusalemme, distruggendone il grandioso tempio, detto di Salomone e disperdendone l’immenso tesoro, costituito da tonnellate e tonnellate di oro e pietre preziose.
Quante misteri sono legati a questa catastrofe. Per esempio quello del destino del Tesoro del tempio. Dove è finito? L’hanno preso i Templari durante la Prima Crociata? E il famoso santo Graal, il calice dell’ultima cena? E ancora, che fine ha fatto la più preziosa reliquia degli ebrei: l’arca dell’Alleanza? Ricordate le avventure di Indiana Jones, impegnato nella sua ricerca.
La tragedia tuttavia fu immane. Seicentomila furono le vittime e più di cinquemila gli ebrei puniti con la crocifissione. Ora comincia veramente la diaspora, cioè la dispersione di tutti gli ebrei dalla loro terra: disseminati altrove, in tutta Europa e nel mondo. Gli ebrei che andranno in Spagna si chiameranno sefarditi, mentre quelli tedeschi, askenaziti.
Sulla spianata del grande tempio è stata costruita, secoli dopo, la grande moschea di Omar, dalla cupola d’oro che campeggia in tutte le vedute di Gerusalemme; del tempio distrutto è rimasto solo il muro occidentale, di fronte al quale gli ebrei, tuttora, si recano a pregare: è il celebre muro del pianto.

By the rivers of babylon, there we sat down
Ye-eah we wept, when we remembered zion.

By the rivers of babylon, there we sat down
Ye-eah we wept, when we remembered zion.

By the rivers of babylon (dark tears of babylon)
There we sat down (you got to sing a song)
Ye-eah we wept, (sing a song of love)
When we remember zion. (yeah yeah yeah yeah yeah)

By the rivers of babylon (rough bits of babylon)
There we sat down (you hear the people cry)
Ye-eah we wept, (they need their God)
When we remember zion. (ooh, have the power)

3. 1215. IL CONCILIO LATERANENSE IV

LETTORE 4 La vita delle comunità ebraiche nell’alto medioevo non è facile. Gli ebrei sono da sempre accusati di deicidio, in altre parole di essere stati gli uccisori di Dio, i responsabili della crocifissione e morte di Cristo. Con l’aprirsi del secondo millennio, nell’undicesimo secolo, durante la prima Crociata, intere comunità ebraiche saranno sterminate. Gli ebrei in molte città possono vendere soltanto stracci e roba usata e praticare l’usura, il prestito ad interesse, vietato ai cristiani, perché ritenuto un peccato mortale. Il prestito ad interesse tuttavia diventa importantissimo, in un periodo in cui si passa dall’economia del baratto, lo scambio in natura, al mercato. La circolazione della moneta. Il possesso di denaro contante diviene l’asso nella manica per chi deve dirigere l’economia. I prestiti servono a tutti: principi, mercanti e al popolo. Agli ebrei, per evitare che i cristiani peccassero, sono concesse le autorizzazioni per tenere i banchi di pegno, per prestare denaro a tasso prefissato. Soltanto per svolgere questa attività gli ebrei hanno diritto di residenza in un determinato paese. Di conseguenza le comunità ebraiche fioriscono ovunque.
In seguito però, la devozione popolare, e l’irritazione contro la pratica peccaminosa dell’usura, culminano in una serie di espulsioni: dall’Inghilterra nel 1290, Normandia 1296, Francia 1306 e dai domini spagnoli nel 1492.
Il IV concilio lateranense del 1215, stabilisce che gli ebrei devono vivere in quartieri separati, chiamati ghetti e devono portare un segno di riconoscimento: per gli uomini, cappelli fatti in modo particolare di colore giallo o rosso o un disco di panno sul mantello; le donne invece devono indossare un velo giallo sulla testa, come le prostitute.

VIDEO Atlantide LA7, Il pensiero proibito, la storia del’inquisizione, (la politica nei confronti degli ebrei, di Papa Paolo IV, grande inquisitore, cambia. Comincia la reclusione degli ebrei nei ghetti)

(PRESENTATRICE) Leggiamo ora alcuni canoni o leggi del Concilio Lateranense IV.
Il canone LXVIII (canone sessantottesimo) dove si prescrive la distinzione tra i Giudei e i saraceni rispetto ai cristiani, per il modo di vestire:
In alcune province i Giudei o Saraceni (islamici) si distinguono dai cristiani per il diverso modo di vestire; ma in alcune altre ha preso piede una tale confusione per cui nulla li distingue. Perciò succede talvolta che per errore, dei cristiani si uniscano a donne giudee o saracene, o questi a donne cristiane.
Perché unioni tanto riprovevoli non possano invocare la scusa dell'errore, a causa del vestito stabiliamo che questa gente dell'uno e dell'altro sesso in tutte le province cristiane e per sempre debbano distinguersi in pubblico per il loro modo di vestire dal resto della popolazione, (…).

Canzone: Ghetto (Modena city ramblers)

Scava un po' d'amore nel ghetto
Tiralo fuori, dagli un'idea
Trova le parole giuste
Cercale dentro di te
Portale sulla strada
Puntale alla gola
C'è chi non muoverà un dito
E chi si prenderà gioco di te
C'è chi non muoverà un dito
E chi si prenderà gioco di te

Hanno acceso i fuochi lungo le frontiere
Nella notte buia torna l'urlo delle sirene
Scava un po' d'amore nel ghetto
Trovalo e portalo fuori dal buio
Scava un po' d'amore nel ghetto
Portalo fuori dagli un'idea

4. 1348: LA PESTE NERA E L’ACCUSA AGLI EBREI DI ESSERE «UNTORI».

VIDEO: PESTE)

(PRESENTATRICE) Con questo breve video che abbiamo visto siamo passati al Trecento, il XIV secolo. È un secolo buio di grande crisi, rappresentata emblematicamente dalla peste nera del 1348.

LETTORE 5 L’ondata di peste, arriva dalle lontane regione dell’Asia e viaggia su nove galee genovesi, che vengono cacciate dai porti dove approdano, quando ormai è troppo tardi. Probabilmente il focolaio di partenza è una località vicino al lago Bajkal in Asia centrale, nel paese di mongoli. La peste di qui raggiunse Samarcanda e poi, seguendo le rotte carovaniere, si diffuse tra le truppe di un principe mongolo, che stringeva d’assedio la colonia genovese di Caffa, in Crimea. Visto l’estendersi dell’epidemia fra le sue truppe interrompe l’assedio, ma prima di andarsene ordina di catapultare dentro la fortezza genovese, dei cadaveri di appestati, che contagiano i genovesi. E’ la più micidiale catastrofe della storia: un terzo della popolazione, per altri storici la percentuale è ancora più alta, cioè circa trenta milioni di persone su un totale di novanta milioni di europei, muore. L’epidemia che si sussegue a ondate cicliche inarrestabili, diventa un nuovo motivo di persecuzione degli ebrei, accusati di avvelenare i pozzi, di ungere i muri o i banchi nelle chiese, per diffondere il contagio, senza però essere loro stessi contagiati. La stessa calunnia si ripeterà durante la terribile peste del 1630-31, raccontata nei Promessi sposi, da Manzoni. Gli ebrei non potevano essere responsabili di diffondere il contagio, di essere untori, perché neppure loro sapevano quale fosse la causa dell’epidemia, nessuno lo sapeva, e inoltre anche loro, morivano di peste, come morivano gli altri.
Tuttavia, la calunnia che si diffonde in Germania, provoca massacri e costringe alla fuga molti di loro che giungono anche in Italia settentrionale in particolare nelle comunità di Venezia, Padova, Ferrara e Mantova. Il numero di ebrei che vivono nella nostra penisola sale a 50 mila su un totale di 11 milioni di persone.

5. 1492: L’ESPULSIONE DEGLI EBREI DALLA SPAGNA (BRANO MUSICALE)

LETTORE 6 Nel 1469 il principe ereditario di Aragona Ferdinando il cattolico, sposò Isabella, principessa ereditaria di Castiglia. Unendosi in matrimonio danno vita al Regno di Spagna, che da lì a breve, sarebbe diventato una superpotenza mondiale. Nel 1492, l’anno della scoperta dell’America, i due sovrani completarono la riconquista cattolica della Spagna, cacciando i Mori da Granata, e gli ebrei da tutto il regno. Questi per non essere espulsi dovevano farsi battezzare entro quattro mesi, oppure lasciare il Paese, rinunciando ai propri beni.
Quelli emigrati furono da 150.000 a 200.000. Quelli rimasti in Spagna, perché disposti a ricevere il battesimo, furono circa 50.000. Molti di questi conversos poi si pentirono, tornarono alle pratiche giudaiche; se scoperti però rischiavano l’incriminazione, la tortura e la morte sul rogo. Il 18 giugno del 1492 l’ordine di espulsione si estese anche alla Sicilia e alla Sardegna, appartenenti alla Spagna.
Usciti dalla Spagna gli ebrei, circa 120.000, andarono in Portogallo, ma nel 1497 il re Manuel I, li caccia anche dal Portogallo. La conquista spagnola del Regno di Napoli, nel 1504, segnò la fine delle numerosissime comunità ebraiche dell’Italia meridionale, anch’esse costrette a scegliere tra esilio e nascondimento nel marranesimo.
Queste espulsioni crearono un grave danno economico nei paesi che le attuarono, soprattutto in Spagna perche se ne andarono persone laboriose, validi artigiani, commercianti e manodopera specializzata.

William Shakespeare e Il Mercante di Venezia

PRESENTATRICE Nel Medioevo gli ebrei vivevano in quartieri chiamati ghetti, costruiti in molte grandi città europee. Il più antico è quello di Venezia, che sicuramente qualcuno di voi avrà visitato. Proprio a Venezia è ambientata una delle più celebri tragedie di Shakespeare, che ha tra i protagonisti il vecchio ebreo Shylock. Eccone in breve la storia

LETTORE Venezia 1596. Antonio, il mercante di Venezia, per aiutare l’amico del cuore Bassanio a corteggiare la bella Porzia, non disponendo, al momento dei contanti, si fa prestare, tremila ducati d’oro dall’ebreo Shylock, promettendo di restituirglieli entro tre mesi; se non ci riuscirà, Shylock, potrà prelevare dal corpo del mercante di Venezia, Antonio, a proprio piacimento, mezza libbra di carne, circa quattrocento cinquanta grammi. Gli affari per Antonio, sembrano andare male, le sue navi hanno fatto naufragio? Sylochk pensa che sia giunto il momento di realizzare la propria vendetta nei confronti di Antonio, dopo che per anni lo aveva danneggiato negli affari, e continuamente umiliato fino a sputargli addosso, trattandolo come un vile cane ebreo. Vediamo la famosa risposta di Shylock, alla domanda:

PRESENTATRICE “Shylock se Antonio non dovesse pagare, che te ne farai della sua libbra di carne?”

(MONOLOGO DI SHYLOCK recita Niccolò Fornelli V AR)

6. 1905: I POGROM NELL’EUROPA DELL’EST E IN RUSSIA (BRANO MUSICALE)

PRESENTATRICE Se la situazione degli ebrei Nell’Europa occidentale non era buona, ancora peggio se la passavano quelli dell’Europa orientale. Qui il processo di emancipazione degli ebrei non avvenne mai. In Russia venivano adottate misure restrittive per impedire loro di acquistare la terra e che frequentassero l’istruzione superiore.

LETTORE La persecuzione culminò in una serie di massacri collettivi chiamati pogrom, che iniziarono nel 1881 dopo l’attentato che costò la vita allo zar Alessandro II, e coinvolsero centinaia di villaggi e città. Uno dei pogrom più feroci avvenne nel 1906, dopo il fallimento della prima rivoluzione russa del 1905. Questo fu il risultato di una politica del governo. Per rendere più efficace la propaganda antiebraica si arrivò a fabbricar documenti falsi come I protocolli dei Savi anziani di Sion, del 1905, che pretendevano di svelare i particolari di un presunto complotto internazionale giudaico per la conquista del mondo. Il documento è completamente falso, scritto per ordine dei servizi segreti russi e utilizzato anche in seguito da Hitler, che ne ha fatto stampare e distribuire in Germania, un milione di copie. L’influenza di questo documento non ha ancora finito di seminare odio in giro per il mondo, e a fare bella mostra in numerosi siti internet antisemiti. Molte persone lo considerano ancora, dopo che da decenni ormai è stata accertata la sua falsità, autentico.

PRESENTATRICE Il VIDEO di LA7 Atlantide, I protocolli dei savi anziani di Sion, ci spiega in modo dettagliato la sua storia; il contesto culturale e politico in cui sono stati ideati e redatti, il contenuto e l’influenza dirompente che hanno avuto nella demonizzazione degli ebrei in Occidente, elemento ideologico essenziale per motivare l’azione di Hitler e la pianificazione della Shoah.

LETTORE Anche in Francia, alla fine dell’Ottocento il clima è pesante. La sconfitta contro i prussiani del 1870 segna la fine dell’imperatore Napoleone III. L’atmosfera generale è di grande sconforto e di aspre tensioni politiche interne: I francesi covano una grande voglia di rivincita. La pressione sugli ebrei si fa sentire sempre di più, come succede spesso in tempo di crisi. Vengono incolpati di ogni cosa e anche della grave crisi in atto. Il clamoroso caso giudiziario noto come caso Alfred Dreyfus del 1894 è rimasto nella storia come il più significativo di questo periodo e anticipatore di ciò che sarebbe successo di lì poco in tutta l’Europa.

PRESENTATRICE Il VIDEO di LA7 Atlantide, Il caso Dreyfus, ricostruisce in modo chiaro l’intricato caso giudiziario, che ha visto coinvolti in una cospirazione contro la verità, i più altri gradi dell’esercito e della politica francese. Dopo molta fatica e passando per delle sentenze che stupiscono per la loro grottesca paradossalità, si giunge finalmente al ripristino della giustizia, grazie anche alla discesa in campo del più grande scrittore dell’epoca Emilie Zola, che con un suo pesante atto d’accusa «j’accuse», scuote l’opinione pubblica francese, rivolgendosi in una lettera, pubblicata in prima pagina, al Presidente francese e facendo nomi e cognomi dei responsabili di questa atrocità giudiziaria.

7. 1938: LE LEGGI RAZZIALI IN ITALIA (BRANO MUSICALE)

PRESENTATRICE Facciamo un salto di vari secoli e ci portiamo nel secolo scorso il Novecento. Parleremo dell’antiebraismo in epoca contemporanea in Europa e in Italia leggendo ancora una pagina tratta dal nostro libro di storia, Sistema storia, vol 5 p. 141)

LETTORE L’Italia e gli italiani non sono immuni dal contagio razzista e dalla piaga dell’antisemitismo. «Nel 1938, il regime fascista promulgò le leggi razziali contro gli ebrei, ad imitazione di quelle già introdotte in Germania nel 1935. queste leggi vietavano i matrimoni misti tra ebrei e non Ebrei, impedivano agli Ebrei di frequentare la scuola pubblica, di fare il servizio militare, di svolgere determinate professioni. In Italia però non esisteva una forte tradizione antisemita e queste discriminazioni suscitavano molte perplessità nell’opinione pubblica e la dura condanna della chiesa cattolica. Le leggi contro gli Ebrei, dunque, indebolirono il consenso degli Italiani verso il fascismo e prepararono la fine del regime» (Cfr. Sistema storia, vol 5 p. 141).

(VIDEO: Leggi razziali di Mussolini)

PRESENTATRICE Vediamo una scena del film La vita è bella di Roberto Benigni, dove si mostra in chiave ironica e grottesca l’esaltazione della pura razza italiana.
Benigni dichiarò: «La vita è bella mi è venuto fuori ma con emozione, tanto che mi ha fatto tremare tutta la costola del costato». Benigni si avvalse della consulenza di Shlomo Venezia, (che ascolteremo in seguito) sopravvissuto di Auschwitz, che a quei tempi era uno dei Sonderkommando, cioè quelle unità speciali che avevano il compito di estrarre i corpi dalle camere a gas e cremarli, in seguito tutti i Sonderkommando vennero uccisi per mantenere il segreto dell'Olocausto, Venezia è uno dei pochissimi sopravvissuti, se ne contano una dozzina nel mondo.
Il film uscì nelle sale cinematografiche italiane il 19 dicembre 1998 e fu un grandissimo successo, incassò ben 46 miliardi di lire, tanto che è il film che ha avuto più successo di spettatori in Italia.
Quando il film fu trasmesso in TV per la prima volta da Rai Uno il 22 ottobre del 2001, ebbe audience eccezionale, più di sedici milioni di telespettatori; in assoluto il dato d'ascolto più alto per un film trasmesso in TV. Il precedente record era di quattordici milioni e mezzo del film "Il nome della rosa del 1988.

VIDEO: la Vita è bella (La scena iniziale della sostituzione dell’ispettore scolastico e visita alla scuola)

PRESENTATRICE La realtà non era cosi rosea: vediamo ora un nuovo brano dal Film Il giardino dei Finzi Contini del 1970, di Vittorio De Sica, padre del celebre attore e regista Christian. Il Film è tratto dal famoso romanzo dallo stesso titolo, di Giorgio Bassani, che voi di quinta dovrebbero conoscere. Un passo del libro si trova anche nella nostra antologia. La scena riporta un dialogo fra un padre e un figlio, in realtà nel figlio si nasconde lo stesso Giorgio Bassani. Appartengono ad una famiglia ebraica di Ferrara, che deve subire le conseguenze delle leggi razziali. Il padre, interpretato dal famoso attore Romolo Valli, sebbene ebreo, è filo-fascista. Inizialmente minimizza e poi invece si rende conto invece dell’assurdità e ingiustizia dei provvedimenti adottati dal regime fascista.

(VIDEO: Il giardino dei Finzi-Contini)

(LETTORE 7) Le leggi razziali riguardano tutta l’Italia e non solo Ferrara. E a Treviso? Qui da noi che cosa succedeva? Aprite il libro di storia Sistema Storia vol. 5 pag 141 e ascoltiamo come quelle stesse disposizioni vengano applicate, nel Regio Istituto Tecnico Riccati di Treviso nel 1938. (Cfr Sistema storia, vol 5 p. 141) Si veda la Circolare del Preside professor Giovan Battista Cervellini del 1938. Il preside ordina ai suoi insegnanti di applicare nella didattica le direttive del ministro Bottai sul «problema razziale». Gli insegnanti aderirono, non tutti con lo stesso entusiasmo, però nessuno le contestò:

Preside, professor Giovan Battista Cervellini

(LETTORE) «Entro il 5 dicembre riferitemi entro quali limiti vi proponete di svolgere nelle rispettive classi la trattazione del problema razziale. (…) E’ naturale che il movimento (…) debba non solo essere diffuso nella scuola, ma nella scuola stessa trovare il suo organo più sensibile ed efficace. Nella nostra scuola il più elevato sviluppo mentale degli adolescenti, (…) consentirà di fissare i capisaldi della dottrina razzista, i suoi limiti e i suoi fini. la rivista «Difesa della razza», che del movimento razzista italiano è l’organo di maggiore importanza, dovrà perciò essere conosciuta, letta, divulgata e commentata da tutti».
Così rispondono alcuni insegnati:

Prof. A. A. Micheli, lettere italiane storia:

(LETTRICE) «(…) mi è gradito informarvi che nel mio insegnamento dell’italiano, (…) ebbi sempre cura e sempre l’avrò di mettere nella dovuta luce, ad ogni occasione (…) la netta superiorità della gente italica, romana e cristiana sulle altre stirpi e le altre fedi, (…).

Prof. Sobrero, scienze naturali e geografia:

(LETTORE) «Su tale argomento avrò occasione di parlare varie volte durante lo svolgimento dei programmi, trattando sia della grandi razze umane, sia del popolo italiano e degli indigeni dell’impero africano (…); esistenza, nel ramo europeo, di una razza italiana, nettamente differenziata nei suoi caratteri fisici e spirituali (…); nobiltà razziale del popolo italiano e suo giusto orgoglio di razza, la cui purezza va gelosamente difesa contro ibridismi e contaminazioni da parte di elementi razziali inferiori».

Più equilibrata la posizione del prof. Zorzi, Materie letterarie:

(LETTRICE) «Considero le razze come un fenomeno naturale, degnissimo di tutta l’attenzione anche sotto l’aspetto della sua protezione. Penso che ognuno nella convivenza degli uomini abbia una sua speciale finalità e il suo particolare apporto più o meno elevato. La razza indo-europea o ariana, nella nostra civiltà occidentale, è quella che ha avuto il compito più alto. (…) Considero mio compito, nell’insegnamento ai miei alunni, senza perdere di vista il contributo alla vita di tutte le altre genti, di mettere in particolare rilievo il contributo dell’itala gente (…)».

8. 1941: LA SOLUZIONE FINALE AL PROBLEMA EBRAICO (BRANO MUSICALE)

(LETTRICE) L’ondata più grave di antisemitismo si verificò come sappiamo col Nazismo di Hitler dove la persecuzione degli ebrei era diventata parte integrante del suo programma politico, anzi l’obiettivo che sta in cima alla lista della sua politica e scrupolosamente attuato. Pensate al Mein Kampf. Si comincia nel ’33 col boicottaggio dei negozi, si prosegui con le leggi razziali di Norimberga del ’35, con la notte dei cristalli del 38, dove si incendiano devastano migliaia di sinagoghe e negozi in tutta la Germania per culminare poi con la soluzione finale del ’41, scientificamente attuata negli anni successivi fino al gennaio 45’ quando i campi vengono aperti e liberati gli internati superstiti. Il 27 gennaio vennero liberati i prigionieri di Auschwitz. La giornata della memoria è stata fissata proprio in quel giorno: 27 gennaio
Alla fine della guerra sei milioni di ebrei, circa due terzi dell’intera popolazione ebraica europea, era stata soppressa nei campi di sterminio. Nel 1941, appena iniziata l’operazione Barbarossa, cioè l’invasione della Russia, il numero due del Reich, il maresciallo Hermann Goering, inviò una direttiva al capo dei servizi di sicurezza Reinhard Heydrich, incaricandolo di organizzare la soluzione finale della questione ebraica, (Endlösung der Judenfrage). Nel 1942 tenne una riunione segreta a Wannsee nei pressi di Berlino nella quale annunciava tutto ciò e si predisponeva il protocollo per la sua realizzazione.

PRESENTATRICE Ve lo ricordate Reinhard Heydrich, soprannominato il «boia di Praga», lo spietato pianificatore della soluzione finale, l’ariano perfetto, il figlio che Hitler avrebbe voluto avere? Alto, atletico, biondo con gli occhi azzurri, eccelleva in tutti gli sport e suonava il violino. Qualcuno sospettò e con fondamento, che nelle sue vene in realtà, scorresse un quarto di sangue «giudaico». Questo caso ci conferma il pregiudizio razzista non sta in piedi. Heydrich, era molto più «ariano» di tanti altri gerarchi di presunta purissima razza ariana come lo stesso Adolf Hitler, Hermann Goering, o Heinrich Himmler. Per non parlare di colui che era considerato la mente del nazionalsocialismo, Joseph Goebbels, che non era certamente biondo con gli occhi azzurri, ma piccolo, zoppo, deturpato a causa della poliomelite.

LETTRICE) Geobbels rappresenta fisicamente la caricatura dell’uomo di pura «razza ariana». Trasferitosi con la famiglia nel bunker di Berlino, con Hitler, nei momenti che precedono la completa disfatta che ne seguì, fu nominato suo successore. La moglie Magda, fedele all’idea nazionalsocialista fino all’ultimo, avvelenò i suoi sei bambini, sacrificandoli al fuhrer, l’unico essere che avesse veramente amato. Ad ognuno di loro infatti, in suo onore, aveva dato un nome che iniziava per H. La scena dei coniugi Goebbels, dai corpi carbonizzati e dei sei figli morti, vestiti di bianco, allineati accanto a loro, è rimasta nella nostra memoria a monito del tragico e macabro epilogo del Reich millenario.

PRESENTATRICE Ecco un breve video sulla sua tragica fine questo argomento
(VIDEO, RAITRE La grande storia - Tutti gli uomini di Hitler, Enigma, Amore e morte - 30,00 - 32,05 )

PRESENTATRICE Ascoltiamo una parte del discorso di Goebbels tenuto a Praga sulla questione ebraica, il 20 novembre del 1940.
«L’eliminazione totale dell’ebraismo dall’Europa non è una questione di morale, ma di sicurezza degli Stati. L’Ebreo agirà sempre in modo rispondente al suo essere e al suo istinto razziale; non può fare diversamente. Come la doridofera delle patate ne distrugge i raccolti. Perché questo è il suo imperativo, così l’ebreo distrugge gli Stati e i popoli. Per combatterlo c’è un solo mezzo, e cioè l’eliminazione radicale del pericolo»

LETTRICE) A partire dunque dal ’41 gli ebrei tedeschi furono costretti a portare ben visibile una stella di Davide gialla, nei mesi successivi iniziarono le deportazioni: ebrei di tutta Europa furono ammassati nei ghetti e poi trasferiti nei campi di concentramento, in particolare fra l’estate e l’autunno del ’42, i casi di resistenza furono rarissimi, nella seconda parte del nostro lavoro ne vedremo alcuni.
Il trasferimento nei campi di sterminio avveniva di solito in treno. La polizia pagava alle ferrovie di stato un biglietto di sola andata, di terza classe, per ciascun deportato: se il carico superava le mille persone, veniva applicata una tariffa collettiva pari alla metà di quella normale: erano treni con vagoni merci sprovvisti di tutto: niente cibo, niente acqua e prese d’aria: molti morivano durante il viaggio.
Le destinazioni più tristemente famose fra le tante furono Buchenwald, Dachau, Bergen – Belsen, Flossenburg (in Germania), Mathausen (in Austria Treblinka, Auschwitz –Birkenau (in Polonia) il più grande di tutti i campi, dove chiusero i loro occhi al mondo, più di un milione di persone. L’industria della morte del Reich produsse sei milioni di vittime fra gli ebrei, ma anche fra gli slavi, zingari, omosessuali, Testimoni di Geova e comunisti. I Testimoni di Geova furono, fra le confessioni religiose, quelli che, proporzionalmente, pagarono il prezzo più alto in vite umane. Infine solo ad Auschwitz, finirono atrocemente i loro giorni, trecentomila bambini.

PRESENTATRICE Concludiamo questa parte con un racconto
(VIDEO: testimonianza di Shlomo Venezia, tratta dal film di Mimmo Calopresti, Volevo solo vivere, 2005)

(FINE PRIMA PARTE)