domenica 3 gennaio 2010

Myricae - L’ Assiuolo (testo e parafrasi)

1. Myricae - L’ Assiuolo (testo e parafrasi)

Introduzione

Pubblicata per la prima volta sul “Marzocco” del 3 gennaio 1897, la lirica entrò poi nella quarta edizione di Myricae, inclusa nella sezione «In campagna». Piccolo uccello rapace, simile al gufo, l’assiuolo è chiamato popolarmente in Toscana chiù, per il verso che emette ed è considerato nella poesia pascoliana, dove appare di frequente, come simbolo di morte.
METRO. Tre strofe di sette novenari, a rima alternata, più un monosillabo onomatopeico (chiù). In rima col sesto verso di ogni strofa

Introduzione parafrasi alle singole strofe

L' Assiuolo

Dov'era la luna? chè il cielo
notava in un'alba di perla,
ed ergersi il mandorlo e il melo
parevano a meglio vederla.
Venivano soffi di lampi
da un nero di nubi laggiù;
veniva una voce dai campi:
chiù . . .

Le stelle lucevano rare
tra mezzo alla nebbia di latte:
sentivo il cullare del mare,
sentivo un fru fru tra le fratte;
sentivo nel cuore un sussulto,
com'eco d'un grido che fu.
Sonava lontano il singulto:
chiù . . .

Su tutte le lucide vette
tremava un sospiro di vento:
squassavano le cavallette
finissimi sistri d'argento
(tintinni a invisibili porte
che forse non s'aprono più? . . .);
e c'era quel pianto di morte. . .
chiù . . .


L’assiuolo rappresenta uno degli esiti più alti del simbolismo pascoliano, che (come ha dimostrato G. Contini in un suo famoso saggio) si fonda su una raffinata dialettica di “determinato". e, “indeterminato”.
In apparenza, nulla è più determinato del paesaggio lunare, che emerge nitido e chiaro nella prima quartina: un chiarore perlaceo si diffonde nel cielo e ben definiti sono il mandorlo e il melo, che sembrano ergersi per meglio vedere la luna.
Ma l’invisibilità dell’astro notturno introduce già un elemento di inquietudine, sottolineato dall’interrogazione iniziale; e quell’alba di perla ha qualcosa di impalpabile, che suscita un senso di attesa non privo di turbamento.
Ed ecco i soffi di lampi, silenziosi bagliori che fanno presentire il vento: c’è qualcosa di umano in quei soffi, che suggerisce l’impressione di un’oscura minaccia, anche perché essi provengono da un nero di nubi (e non, come ci si aspetterebbe, da «nubi nere».
Si svela così il significato funebre della lirica, subito confermato da quella sorta di singhiozzo che viene dai campi, il chiù dell’assiuolo: per ora soltanto una voce indefinita, ma che basta a suscitare un incredulo sgomento.

Dov’era la luna? chè il cielo
Notava in un’alba di perla,
ed ergersi il mandorlo e il melo
parevano a meglio vederla.
Venivano soffi di lampi
Da un nero di nubi laggiù;
veniva una voce dai campi:
chiù . . .


Dov’era la luna? La luna non si vede, ma si vede il suo bagliore poiché, dato ché il cielo nuotava in un’alba di perla il cielo è illuminato come una perla, candida da una strana alba chiara, e il mandorlo e il pero si ergono, sia alzano come «in punta di piedi» per vedere meglio o per vedere da dove provenisse questa luce, dove fosse la luna. Dopo un pesaggio lunare lattiginoso. si ritorna sulla terra. Venivano soffi di lampi, bagliori di lampi, fasci di lampi le luci di lampi «soffi di lampi» (sinestesia). da un nero di nubi da un nero fatto di nuvole costituite da nuvole laggiù. Veniva anche un verso una voce non un verso quasi umana dai campi, il verso dell’assiuolo Chiù .

Nella seconda strofa, ritorna per un momento una sensazione di illusoria serenità: le stelle brillano nel cielo, il mare si culla dolcemente; ma lo sgomento prevale ancora una volta, suscitato dall’elaboratissima onomatopea del v. 12 (un fru fru tra le fratte): l’espressione fonosimbolica e pre-grammaticale fru fru trapassa, grazie alla mediazione del tra, nella parola semantica fratte.
Mentre il linguaggio pascoliano fa, così, le sue prime grandi prove, la raffinata allitterazione di F, di R e di T si unisce all’onomatopea per comunicare sensazioni fuggevoli di disagio, che è ora del tutto umano: è un sussulto del cuore, è il ricordo di un lontano dolore, lancinante come un grido.
In perfetta simmetria, anche il verso dell’assiuolo non è più una voce indistinta, ma si è fatto umano, è divenuto un singulto

Le stelle lucevano rare
Tra mezzo alla nebbia di latte:
sentivo il cullare del mare,
sentivo un fru fru tra le fratte;
sentivo nel cuore un sussulto,
com’eco d’un grido che fu.
Sonava lontano il singulto:
chiù . . .


Le stelle rare (poche) lucevano (splendevano) tra mezzo alla nebbia (in mezzo alla nebbia) di latte (biancastra forse tra nubi del cielo): sentivo il cullare (il rumore ritmico ripetitivo) del mare, sentivo un FRu FRu TRa le FRaTTe; (un rumore fra i cespugli forse di uccelli che spiccano il volo, vedi l’effetto onomatopeico ottenuto attraverso l’allitterazione della F, T R) sentivo nel cuore un sussulto,(sentivo il cuore battere sempre più forte, un’emozione forte) com’eco d’un grido che fu. (che mi ricorda un grido lontano che emerge dalla coscienza, forse quello del padre morto molti anni prima «e restò negli aperti occhi un grido» come dice nella poesia X agosto Sonava lontano il singulto: chiù … (si sentiva in lontananza il verso, divenuto ora un lamento umano del chiù.

La terza strofa ci porta in pieno mistero. Sulle vette dei monti trema un sospiro di vento, che fa vibrare l’aria prima immobile: e sia il tremore sia il sospiro infondono un sentimento umano alla natura.
Ed ecco il verso metallico e stridulo delle cavallette, che ricorda il suono argenteo dei sistri egiziani, echeggiante nei riti misterici della dea lside.
La sintassi, già precaria, ora si frantuma, spezzata dall’intervento di una frase tra parentesi, che allude a un mistero di cui non si possiede più la chiave, a porte / che forse non s’aprono più; i puntini di sospensione dicono che non è più possibile un discorso, perché le illusioni sono svanite nel pianto di morte dell’assiuolo.
Il piccolo rapace ha compiuto la sua metamorfosi, da elemento naturale del paesaggio a simbolo funebre.

Su tutte le lucide vette
Tremava un sospiro di vento:
squassavano le cavallette
finissimi sistri d’argento
(tintinni a invisibili porte
che forse non s’aprono più?;
e c’era quel pianto di morte.
chiù .


Tremava (passava una brezza, un respiro di vento) un sospiro di vento Su tutte le lucide vette (sopra le punte degli alberi lucide, illuminate dalla luna) squassavano le cavallette (passano le cavallette che con lo sbattere delle loro ali producono un suono metallico simile a quello dei sistri, antichi strumenti musicali simili a sonagli che venivano utilizzati durante il culto alla dea egiziana Iside) finissimi sistri d’argento (tintinni a invisibili porte che forse non s’aprono più? (i sistri erano come, ricordano il suono dei sonagli, campanelli all’entrata delle porte della morte, che aprivano la strada verso, l’aldilà, ma forse queste porte attraverso le quali si varca la soglia dell’aldilà de dell’immortalità sono chiuse per sempre ); e c’era quel pianto di morte! Chiù.

Nessun commento:

Posta un commento