domenica 3 gennaio 2010

Pascoli opere Myricae, Arano

Myricae, Arano

Introduzione

È il primo dei madrigali intitolati L’ultima passeggiata (nucleo originario di Myricae) dove il poeta descrive le impressioni di una giornata trascorsa in campagna, prima di tornare in città e riprendere la scuola. Composto tra il 1885 e il 1886, e pubblicato per la prima volta nel 1886, in occasione delle nozze di Severino Ferrari, Arano entrò a far parte della seconda edizione di Myricae (1892). Una probabile fonte della lirica è stata indicata dal critico Adriano Seroni in un passo dei manzoniani Promessi sposi (cap. IV la pagina iniziale), antologizzato dal Pascoli in Sul limitare:
«A destra e a sinistra, nelle vigne, sui tralci ancor tesi, brillavan le foglie rosseggianti a varie tinte; e la terra lavorata di fresco, spiccava bruna e. distinta né campi di stoppie biancastre e luccicanti dalla guazza».

METRO: madrigale (forma poetica di origine popolare), formato da due terzine di endecasillabi, legate tra loro dalla rima del secondo verso, e da una quartina a rima alternata, secondo lo schema ABA. CBC, DEDE. Le parole in rima della prima terzina sono tra loro allitteranti (filA-rE, frAttE, fumArE); inoltre, la parola finale della prima terzina e quella iniziale della seconda sono legate fonicamente (fumARe, ARano). Leggiamo il testo

Al campo, dove roggio nel filare
qualche pampano brilla, e dalle fratte
sembra la nebbia mattinal fumare,

arano: a lente grida, uno le lente
vacche spinge; altri semina; un ribatte
le porche con sua marra pazïente;

ché il passero saputo in cor già gode,
e il tutto spia dai rami irti del moro;
e il pettirosso: nelle siepi s'ode
il suo sottil tintinno come d'oro.


Nella prima strofa il poeta descrive la campagna autunnale, sommersa nella nebbia mattutina:la ripetizione della erre produce una musica roca, fitta di echi e di richiami, sembra che le parole scorrano per conto proprio, indipendentemente dal loro significato, in un rincorrersi di consonanti e vocali liquide, con fori legami fonici Roggio, filaRE, bRilla, fRAtte, sembRA, fumaRE

Al campo, dove ROggio nel filaRE
qualche pampano bRilla, e dalle fRAt-te
sembRA la nebbia mattinal fumaRE


Al campo: esprime, più che la direzione, la lontananza indefinita del campo: roggio: rossastro pampano: variante popolare (toscana) di pampino - e dalle fratte: dalle siepi; fumare, “vaporare in alto, per il sole che al dirada; si che paia salire dalle fratte” (G, De Robertis)

Al campo, dove nel filare (Nel campo dove nel filare dell’uva), qualche pampano brilla, roggio (qualche pampano delle viti sembra brilla rosso) e la nebbia mattinal sembra fumare dalle fratte (e la nebbia assomiglia ad un fumo che vapora, che sale dalle fratte cioè le siepi)

Nella seconda strofa si descrive il lavoro lento dei contadini che arano: I contadini si muovono lentamente sullo sfondo sullo sfondo silenzioso del campo; l’aria riecheggia di voci e di suoni, ma l’impressione è quella di un’assoluta immobilità e di un assoluto stupore; è questo l’effetto scandito dalle minuziose pau-se, create dalla punteggiatura pause. I due punti dopo arano, la virgola a metà del v. 4 i due punti e virgola del verso 5, i forti enjambement lente / vacche; un ribatte / le porche e della dieresi di pazïente

arano: a lente grida, uno le lente
vacche spinge; altri semina; un ribatte
le porche con sua marra pazïente


arano: con soggetto indeterminato, e con forte rilievo ritmico nel verso. La scansione interna di questo e dei seguenti versi contribuisce a connotare l’idea di lentezza (lente...lente...) porche: strisce di terreno fra due solchi, cumuli di terra fra due solchi poi spianati dal con-tadino (la parola è sentita come tecnicismo rustico) - marra: zappa leggera, per smuovere la terra superficialmente

arano: (là sul campo lontano arano, chi ara? non si sa soggetto indeterminato, saranno i contadini che arano) uno (di quelli che arano, un contadino) a lente grida, spinge le lente vacche; (con lente grida ritmate spinge incita fa muovere le vacche anch’esse lente a causa della fatica di trascinare l’aratro) altri (altri contadini o aiutanti servi ecc. ) semina; (seminano) un pazïente (altro contadino paziente, con cura) con sua marra ribatte le porche (con la sua zappa, richiude le zolle, battendole più volte, non appena il seme è ricaduta dentro il solco tracciato dall’aratro, non è la marra, cioè la zappa ad essere paziente, ma il contadino. Questa è una figura retorica che si chiama zeugma)

Nella terza strofa Entrano in scena gli uccelli, il passero e il pettirosso, che spia-no fuori campo dall’albero e dalla siepe i movimenti degli uomini e degli animali.
Qui la punteggiatura ridiventa normale, coincidendo con la misura del verso; ma al verso 9 ecco un’altra e più vistosa frantumazione della sintassi, con lo stacco improvviso creato dai due punti. Si prepara così la raffinata onomatopea dell’ultimo verso (sottil tintinno) collegata mediante la sinestesia alla brillantezza dell’oro. Un trillo di uccello felice conclude felicemente, questa lirica appartenente al nucleo originario di Myricae, quando ancora l’incupirsi funerario della sua poesia non era ancora comparso all’orizzonte

Ché il passero saputo in cor già gode,
e il tutto spia dai rami irti del moro;
e il pettirosso: nelle siepi s’ode
il suo sottil tintinno come d’oro


che: forse da intendere come tanto che saputo: esperto ~ gode: si compiace, pregustando il cibo ~ 8. e il tutto spia...: all’entrata in scena del passero (e poi del pettirosso) corrisponde una serie fonosimbolica allusiva a piccoli suoni secchi e battiti - moro: gelso - come d’oro: per indicare una limpida risonanza (sinestesia). I suoni dell’ultimo verso Til, tin tin e la sinestesia richiamano l’immagine di una moneta d’oro che caduta per terra produce il caratteristico suono.
Ché il saputo passero in cor già gode, (tanto che, cosicché, il sapiente passero si rallegra già nel suo cuore, perché può approfittare della ghiotta occasione di beccare i semi o i vermi che emergono dalla terra smossa dall’aratro) e il tutto spia dai rami irti del moro; (spiando tutta la scena appollaiato sui rami diritti acuminati del gelso, pianta tipica, che serviva per recitare i campi e per alimen-tare i bachi da seta che si nutrono delle sue foglie) e il pettirosso: (c’è una brusca interruzione del discorso) s’ode nelle siepi il suo sotTIL TIN-TINNo come d’oro (e si senti provenire dalle siepi, l’uccello non si vede, ma si riconosce dal verso tintinnante sottil tintinno è un’onomatopea, si notino le ripetizioni til tin tin, sotTIL TIN-TINNo. Il verso dell’usignolo ricorda il suono di una mo-neta d’oro che cade per terra producendo un suono cristallino. SotTIL TIN-TINNo come d’oro è una sinestesia perché si dice che il verso dell’usignolo che è un suono è d’oro, l’oro non si sente, ma si vede. Quindi si combinano insieme campi sensoriali diversi la vista e l’udito)

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