domenica 3 gennaio 2010

Modulo per autore : Giovanni Pascoli

A. GIOVANNI PASCOLI

1. Premessa

Fra l’ultimo quarto dell’Ottocento e il primo decennio del Novecento si forma e si pone all’attenzione del pubblico questo originale e complessa figura di poeta, che il Contini definisce «rivoluzionario nella tradizione, ossia a metà strada fra Ottocento e Novecento» e Schiaffini
“Il momento cruciale, il salto del fosso nella storia del nostro linguaggio poetico”

La novità e la singolarità della poesia pascoliana sconcertano non poco i critici contemporaneo, che non riuscirono a trovare una formula per giudicare e definire l’artista, Basti ricordare il dissenso del Croce che ne l 1907 lo definì «Piccolo grande poeta», indicando lo un poeta del frammento e dell’idillio, felicissimo nel cogliere i particolari, ma privo di virtù sintetiche e costruttive, o anche un malato di nervi per le sue figure retoriche e per quella poetica del Decadentismo che Croce non riusciva a capire poiché era di mentalità razionale ed idealistica.
Ma oggi è possibile, considerando complessivamente la sua multiforme attività e tenuto conto delle più recenti e scaltrite indagine critiche, ritenere quella del Pascoli la voce fra le più originali e valide del Decadentismo europeo e in genere della poesia moderna e riconoscerne l’importanza nei rapporti con la vita spirituale dell’Italia contemporanea e negli influssi esercitati sull’esperienza poetica del 900.

I LA VITA

1855 Nasce a S. Mauro di Romagna, ora San Mauro Pascoli in provincia di Forlì, a 35 chilometri dalla città, che conserva ancora la fattoria dei principi di Torlonia nella quale ha lavorato il padre. Quarto di dieci figli ebbe un’infanzia triste, funestata da frequenti lutti.
1867 A dodici anni e studia nel Collegio degli scolopi ad Urbino, Congregazione dei Chierici delle Scuole Pie, donde il nome, che ebbe origine dalla «Scuola Pia» fondata in Italia nel 1597 da S. Giuseppe Calasanzio per l’istruzione gratuita dei figli del popolo e che fu elevata a Ordine religioso da Gregorio XV nel 1621.
In collegio viene raggiunto da una grave notizia. una grande sventura sì era abbattuta sulla sua famiglia: il padre Ruggiero intendente, amministratore di una tenuta del principe Torlonia, viene assassinato il 10 agosto con una fucilata mentre tornava da una festa paesana, senza apparenti motivi, così ritiene il Pascoli siano andate le cose. Ora, da indagini svolte, si pensa invece che un movente sia da ricercarsi nella rivalità con altri o che sia un regolamento di conti nel campo del contrabbando.. Questo episodio segnerà per sempre la vita di Pascoli è sarà da lui richiamato ossessivamente. Dopo il padre perderà molti altri famigliari. e da altri lutti domestici.
Scriverà nelle note a Myricae:
«A mezza strada tra Savignano e San Mauro è questa unica di mia gente e mia, là dove l’11 agosto 1867 (quanti anni! A me pare non ancora tramontato quel giorno) deposero, con la nobile fronte forata e sanguinante, il mio padre, che vi chiamò con la virtù della passione lì a poco anche mia madre, e prima di lei una mia sorella, e poi un fratello e un altro. Tutta una famiglia è lì accolta, ineffabilmente triste, e io vivo con loro, ed essi non lo sanno e non mi vedono: hanno gli occhi troppo pieni di lacrime».
1873 Si iscrive all’Università di Bologna. Maturano in lui idee socialiste e aderì all’Internazionale. Periodo di agitazione e di vita sregolata. Nel 1879, viene arrestato e messo in carcere per quattro mesi e liberato dopo il processo, per aver preso parte alle manifestazioni che seguirono la condanna dell’anarchico Guido Passanante.
Si legge nelle note ai Canti di Castelvecchio:
«Quanta prigione per nulla! O per molto, a dir vero: per sentimenti e idee; Fu nei primordi del socialismo italiano in cui si processavano come malfattori quelli che aspiravano a togliere dal mondo il male, e si condannavano: E così ebbi occasione di meditare profondamente, per due mesi e mezzo di un rigidissimo inverno su la giustizia. Dopo la qual meditazione mi trovai allora assolto e per sempre indignato».
Fu allievo di Carducci a Bologna dove si laureò nel 1882 in Lettere con una tesi su Alceo.
Si dedicò poi, dal 1883, all’insegnamento delle lettere classiche nei licei, quindi del latino nelle Università di Bologna, di Messina, di Pisa; ritiratosi Carducci nel 1905, gli successe alla cattedra di letteratura italiana a Bologna.
Qualche anno prima, nel 1898, rimase sconvolto dal matrimonio della sorella Ida che vive come un tradimento, una profanazione del nido famigliare che aveva costruito con le due sorelle Ida e Maria: Quando Pascoli si fidanzerà con la cugina Imelda Morri, la sorella Maria farà naufragare tale relazione per gli stessi motivi di gelosia.
Amò immensamente la campagna per questo D’Annunzio lo definì “ultimo erede di Virgilio” e tutte le cose semplici della natura, fu assetato di bontà e di giustizia, visse chiuso nella malinconia dei ricordi dell’infanzia e dell’adolescenza, votato soltanto al culto delle lettere.
Le liriche, raccolte definitivamente nei volumi Myricae (I ed. 1891), Primi Poemetti, Canti di Castelvecchio (1903), Poemi Conviviali, Odi ed Inni (1906), “Canzone di re Enzo” (1909), Nuovi poemetti, Poemi italici (1911), testimoniano la vena poetica pascoliana, ma solo poche di esse raggiungono l’aerea compiutezza e la solida architettura dell’opera d’arte. Pascoli coltivò con molto merito, e con successo, la lingua latina e tredici volte vinse il premio internazionale di poesia latina di Amsterdam.
Alla critica letteraria Pascoli si volse ancor giovane allestendo due ammirevoli antologie della poesia latina (Epos, Lyra) e due della poesia e della prosa italiana.
1912 Muore a Bologna, dopo aver celebrato con inni il cinquantennio dell’unità d’Italia, l’anno prima nel 1911 e aver salutato l’impresa libica come l’inizio di una nuova era della storia d’Italia (La grande proletaria si è mossa). Ora riposa a Castelvecchio. Pascoli, frazione del comune di Barga in provincia di Lucca, in Garfagnana, a 5 km. dal nucleo principale. Casa e tomba di Giovanni Pascoli, dichiarati monumenti nazionali.

I Il rapporto con il decadentismo e il simbolismo


L’appartenenza o meno di Pascoli al vasto panorama del Decadentismo italiano è prima di tutto un fatto cronologico: il lavoro letterario e l’operazione culturale pascoliana si collocano tra il 1890 e il primo decennio del Novecento. Ma di certo possiamo anticipare che l’adesione, mai peraltro dichiarata, a un movimento o a un raggruppamento è molto lontana dallo stile di vita pascoliano, che privilegia al contrario l’esperienza della chiusura familiare, degli studi accademici e degli impegni privati. Semmai andrà riconfermato un atteggiamento di crisi nei confronti dei nuovi valori della modernità: Pascoli rimane, per molti aspetti, ancora legato a una funzione tradizionale e romantica dello scrittore. Non si lega a nessun gruppo intellettuale, collabora (ma solo saltuariamente) alla vita delle riviste letterarie dell’epoca, affida alla sua poesia il compito di riscattare e di esorcizzare una condizione psicologica dolorosa, appare infine molto distante dalle possibilità che offre in quegli anni il crescente mercato librario (il suo impegno restò limitato, in questo campo, ad alcune fortunate antologie scolastiche). Pascoli - scrive Leone de Castris (Il decadentismo italiano, Bari, Laterza, 1989, p. 10) - realizzò “altrove i riferimenti e i modelli della sua funzione di poeta: fuori della realtà ufficiale dell’Italia di fine secolo, tra un mondo campestre stilizzato in funzione di una salvaguardia dell’innocenza, della difesa da un ordine sociale che sembra atterrire e nevrotizzare pure le umili creature della natura, e una fuga astrale densa di cupi presagi o un’antichità destoricizzata nel trasalimento popolare e moderno che la increspa e l’assilla”.
Alla fine dell’Ottocento il movimento della Scapigliatura cercò di porre le basi di una completa rilettura della funzione dell’artista nel contesto sociale: certamente un elemento di forza dei giovani scapigliati fu quello della rottura insanabile rispetto al conformismo borghese della tradizione romantica e risorgimentale, un atteggiamento su cui pesarono non poco le influenze del dibattito culturale francese, e parigino in particolare. L’artista vive dunque un’esistenza separata e contraddittoria, almeno questo è il messaggio che traspare da Les fleurs du mal di Baudelaire e dai testi dei più giovani Rimbaud e Verlaine, collocandosi in una zona d’ombra nella quale tutti gli antichi privilegi sono caduti (Baudelaire parlava a questo proposito di perdita dell’aureola, in una famosa prosa di Spleen de Paris). Il poeta andrà assumendo via via atteggiamenti diversificati, ma comunque non più inclini alla tradizione: anzi la rottura nei confronti della tradizione e del conformismo borghese sembrano alcuni dei motivi dominanti della stagione simbolista francese. Ma il caso dell’esperienza italiana assume significati completamente originali: in Italia, scrive ancora Asor Rosa, “non c’è una vera e propria rivoluzione decadente, se non come estenuazione, degradazione, esasperazione, filtraggio dell’elemento classicista, e al tempo stesso come suo adattamento, in termini linguistici e ideologici, ad uso sociale di massa”.
Di fronte alla tradizione classicista e ai modelli celebrati dalla poesia carducciana, nemmeno Pascoli e D’Annunzio seppero opporre un secco rifiuto, pur andando al di là del semplice segno impressionistico che Carducci aveva rappresentato. Un elemento di novità fu invece quello di manifestare una crisi e un distacco dal rigido schematismo scientifico introdotto dalla cultura positivistica. È vero ad esempio che il positivismo pascoliano filtrava nel linguaggio poetico sotto la veste di una lingua tecnica e specifica, spiccatamente gergale, quella che Gianfranco Contini definiva lingua post-grammaticale, ma la componente ideologica di questo atteggiamento restava decisamente coerente a una poetica dell’irrazionale, a una radicale messa in crisi di tutte le ideologie dominanti. E da questo punto di vista, l’utilizzo di un certo linguaggio può essere sintomatico di una concezione del mondo. “Quando si usa un linguaggio normale, vuol dire che dell’universo si ha un’idea sicura e precisa, che si crede in un mondo certo, ontologicamente molto ben determinato, in un mondo gerarchizzato dove i rapporti stessi tra l’io e il non-io, tra l’uomo e il cosmo sono determinati, hanno dei limiti esatti, delle frontiere precognite. Le eccezioni alla norma significheranno allora che il rapporto fra l’io e il mondo in Pascoli è un rapporto critico, non è più un rapporto tradizionale”.

II La visione del mondo

Il male il mistero e il rifiuto della lotta La visione del Pascoli espressa soprattutto nei suoi testi in prosa si presenta immobile senza svolgimenti sviluppi o evoluzioni, chiusa nel cerchio di una sofferta autobiografia,
Il tema centrale è il senso del mistero tipico tema del decadentismo, che domina il cosmo e avvolge l’esistenza sulla terra chiamata nella nota lirica X agosto
«atomo opaco del male»;
il positivismo, la scienza non è più in grado di decifrare e comprendere questo mistero:
«Tu sei fallita o scienza; ed è bene: ma sii maledetta che hai rischiato di far fallire l’altra La felicità tu non l’hai data e non la potevi dare ebbene se non hai distrutta, hai attenuata oscurata amareggiata quella che ci dava la fede».
L’uomo è un essere spaurito, regredito a fanciullo, vulnerabile. Il male è misteriosamente connaturato alla storia degli uomini, come dolore o come possibilità di degradazione e di imbestialimento. L’uomo quindi si rifugia in un suo nido, ritorna alle buone cose, alla natura “madre dolcissima”. Il nido è un tema fondamentale, un nodo di affetti, che si è sfasciato nella sua infanzia dopo la morte del padre, e che ha tentato, in tutti i modi di ricostruire.
Da qui nasce il messaggio pascoliano. quello che si può leggere ne I due fanciulli che durante il giorno litigano da venuta la sera dimenticano ciò che è successo e la madre li scopre dormienti uno accanto all’altro fraternamente abbracciati. Questa pacificazione fra gli uomini riguarda i popoli e le classi sociali. dopo i suoi trascorsi socialisti, per lui quindi la lotta di classe disgrega, mina alle fondamenta il nucleo sociale maggiore : la nazione.
Quindi il tema del nido si può intendere in due modi: come chiusura affettiva del poeta protetto nella propria famiglia che faticosamente si era costruito, ma anche chiusura alla storia e all’impegno sociale. Inoltre il nido è quello della sua famiglia questo nodo di affetti importantissimo si allarga fino all’idea nazionale. Il suo orizzonte quindi va gelosamente protetto come possiamo vedere in Nebbia o nel cantuccio ne L’ora di Barga

III La poetica de Il fanciullino

Il Fanciullino I venti capitoli del discorso in prosa de Il Fanciullino. costituiscono la sinesi più chiara e coerente della poetica di Pascoli. La forma definitiva è quella che si legge in Pensieri e Discorsi del 1907, ma la pubblicazione dei primi capitoli risale al 1897, sulla rivista fiorentina “Marzocco” di gennaio-aprile.
Il discorso procede con intonazione famigliare e col ritmo frantumato tipico della prosa parlata del Pascoli e coinvolge un interlocutore scolaro con argomentazioni semplici e in po’ artificiosamente ricondotte al livello dell’intuizione puerile.
Ragionando sulla poesia, nel saggio Il fanciullino, il Pascoli propone i termini essenziali della sua visione; nel mondo rappresentato come sistema misterioso, il poeta è diventato un fanciullo inconsapevole eppure dotato di intuizioni rivelatrici, con un atteggiamento di fronte al mondo di verginale stupore di “primitivo”. La condizione della poesia è la condizione stessa dell’infanzia.
Questo Fanciullino si trova in ognuno di noi anche se può smarrirsi la sua voce nei travagli della vita
Il suo spazio poetico è costituito dalle cose vicine, umili quotidiane. La poesia infatti è nelle cose, nascosta e occulta accessibile solo da parte di un interprete privilegiato come il fanciullo. Ma la scoperta dell’essenza poetica non ha nulla di razionale, e non produce comunicazione, ma piuttosto rivelazione per quanto vi è d’imprevedibile, di sorprendente.
La parola del poeta è discordante e dissonante con la nozione comune delle cose, perchè vengono viste dal fanciullino con occhi nuovi, non logici, ma pre-logici, mitici : scopre relazioni e analogie arcane fra gli oggetti, scopre particolari che nessuno riuscirebbe ad avvertire. Nel fanciullino Pascoli si sofferma a lungo su questo tema della dissonanza poetica, richiamandosi per esempio al messaggio mansueto e pacificatore di Virgilio in tempi di discordia e di guerra, o al dono della poesia omerica di evocare - proprio nel momento più tragico “quel particolare puerile che ti fa sciogliere in lacrime” Torna anche a ribadire il suo ideale di estraneità alla lotta, alla logica cattiva della storia, alle competizioni fra le classi.
Con le sue argomentazioni che sembrano a volte puerili il Pascoli esprime una fondamentale consonanza, sintonia con le poetiche del decadentismo europeo. Il suo poeta non ha “ruolo” è sottratto a compiti storici, è esonerato dall’impegno del vate, del pensatore e del persuasore, che con frasi tribunizie ammalia il popolo, anche se Pascoli crede al messaggio poetico come consolatore e dagli effetti umanitari, ma il poeta non deve giungere a questi effetti di proposito “non deve farlo apposta”. E’ anche simbolicamente il poeta, interprete di una cifra misteriosa di una realtà che sfugge al dominio razionale, tramata di arcane analogie e corrispondenze.
Implicito nel rifiuto di ogni compromissione con la storia è il tema della poesia “ senza aggettivi”, o della poesia pura, e non arcadica, verista o simbolista, è pura nel suo riprodursi a distanza di millenni. Il discorso sul linguaggio poetico ha invece caratteri più specifici. e offre la vera chiave di accesso alla dimensione espressiva della poesia pascoliana. Il linguaggio del poeta-puer consiste soprattutto nella «nomimazione delle cose», «è l’Adamo che mette il nome a tutto ciò che vede e sente» o il vecchio Omero che vede «tutto nuovo e bello». Il critico Renato Serra ha osservato che il mondo pascoliano «si trova, se così si può dire, al di fuori della letteratura, e consiste tutto di cose. o estrerne o interne; che di per sè sono naturalmente poetiche». Fuori della convenzione letteraria, sempre esclusiva e generalizzante, le cose anche minime dovranno vivere in virtù dei loro nomi.
Nel Fanciullino il Pascoli pone, come fortissimo elemento di rottura nei confronti della tradizione italiana, petrarchesca e aulica, il problema della nominazione specifica di piante, animali e attrezzi e cose: «Pensate ai fiori e agli uccelli, che sono dei fanciulli la gioia più grande e consueta: che nome hanno? S’ha sempre a dire uccelli, di quelli che fanno tuttavì esempio i di quelli che fanno croco? Basta dir fiori e fioretti, e aggiungere magari, vermigli e gialli, e non far distinzione tra greppo coperto di margherite e un prato gremito di crochi?»


I LE OPERE - testo dalla Prosa del Fanciullino

a) Primi paragrafi (I)

E’, dentro noi un fanciullino che non solo, ha brividi, come credeva Cebes tebano che primo in sè lo scoperse (...)

b) I poteri del fanciullino, poeta paragrafo (III)

Egli è quello dunque, che ha paura al buio, perchè al buio vede o crede di vedere, quello che alla luce sogna o crede di sognare, ricordando cose non vedute;
quello che parla alle bestie, agli alberi, ai sassi, alle nuvole, alle stelle. che popola l’ombra di fantasmi e il cielo di dei. Egli è quello che piange e ride senza un perchè, di cose che sfuggono ai nostri sensi e alla nostra ragione, Egli è quello che nella morte degli esseri amati esce a dire quel particolare puerile che ci fa sciogliere in lacrime, e ci salva. Egli è quello che nella gioia pazza pronunzia, senza pensarci, la parola grave che ci frena. Egli rende tollerabile la felicità e la sventura, temperandole d’amaro e di dolce, e facendone due cose ugualmente soavi al ricordo. Egli fa umano l’amore, perchè accarezza esso come sorella (oh! il bisbiglio dei due fanciulli fra un bramire di belve), accarezza e consola la bambina che è nella donna. Egli nell’interno dell’uomo serio sta ad ascoltare, ammirando le fiabe e le leggende, in quello dell’uomo pacifico fa echeggiare stridule fanfare di trombette e di pive, e in cantuccio dell’anima di chi non crede, vapora d’incenso l’altarino che il bimbo ha ancora conservato da allora. Egli ci fa perdere tempo quando noi andiamo per i fasti nostri, chè ora vuol vedere la cinciallegra che canta, ora vuol cogliere il fiore che odora, ora vuol toccar la selce che riluce. E ciarla intanto senza chetarsi mai; e, senza lui , non solo non vedremmo tante cose a cui non badiamo per solito, ma non potremmo nemmeno pensarle e ridirle, perchè egli è l’Adamo che mette il nome a tutto ciò che vede e sente. Egli scopre nelle cose le somiglianza e relazioni più ingegnose. Egli adatta il nome della cosa più grande alla più piccola. e al contrario: e a ciò lo spinge meglio stupore che ignoranza, e curiosità meglio che loquacità: impicciolisce per poter vedere, ingrandisce per poter ammirare.

c) Cap: VII La prosa del fancilullino

In questo capitolo, il Pascoli definisce la sua idea di poesia pura, «senza aggettivi» e svincolata da sentimenti di persuasione e di propaganda. Ma allo stesso tempo sottolinea l’utilità sociale della poesia, come afflato umanitario e fraterno e forza pacificatrice. Notevole è l’accento posto sulla dimensione del piccolo e del vicino. in una prospettiva che privilegia la chiusura intimistica.

(...) la poesia in quanto poesia, la poesia senza aggettivo ha una suprema utilità morale e sociale (...) Chi ben consideri, comprende che è il sentimento poetico il quale fa pago il pastore nella sua capanna. (:...) Per me altro, altro è sentimento poetico, altro è fantasia: la quale può essere bensì mossa e animata da quel sentimento , ma può anche non essere: Poesia è trovare nelle cose, come ho a dire? il loro sorriso e la loro lacrima, e ciò si fa da due occhi infantili, che guardano semplicemente e serenamente di tra l’oscuro tumulto della nostra anima..
A volte, non ravvisando essi nulla di luminoso e di bello nelle cose, che li circondano, si chiudono a sognare e a cercare lontano. Ma pur nelle cose vicine era quello che cercavano e non avervelo trovato, fu difetto. non di poesia nelle cose, ma di vista negli occhi.
(...) Or dunque intenso il sentimento poetico è di chi trova la poesia in ciò che lo circonda, e in altri soglia spregiare, non di chi non la trova lì e deve fare sforzi per cercarla, altrove. E sommamente benefico tale sentimento, che pone un soave e leggiero freno all’instancabile desiderio, il quale ci fa perpetuamente correre con per la via della felicità.
(...) Già in altri tempi vide un Poeta [si tratta di Virgilio] (io non sono nemmeno degno di pronunziare il tuo santo nome o Parthenias!), [da parthenos, vergine, pura,] vide rotolare per il vano circolo della passione le quadrighe vertiginose, e quei tempi erano simili a questi, e balenavano all’orizzonte la conflagrazione del mondo in una guerra di tutto contro tutti e d’ognuno contro ognuno, e quel Poeta sentì che sopra le fiere e i mostri aveva ancora più potere la cetra di Orfeo che la clava d’Ercole. E fece poesia senza pensare ad altro, senza darsi arie di consigliatore, di ammonitore, di profeta del buono e del malaugurio: cantò per cantare. l’effetto del suo canto grande fu certo se dura sino ad oggidì, vibrando con dolcezza nelle nostra * irrequiete. O rimatori di frasi tribunizie, che escludete dal tempo presente ogni poesia che non sia la vostra, vale a dire escludete la POESIA, ditemi; Era o non era al suo posto, nel secolo d’Augusto, il cantore delle Georgiche? Sì, non è vero Egli insegnava ad amare la vita in cui non fosse lo spettacolo nè doloroso della miseria nè invidioso della ricchezza; egli voleva abolire la lotta fra le classi e la guerra fra i popoli. Che volete voi, o poeti socialisti, che dite cose tanto diverse e le dite diversamente da lui?

Myricae (in generale)

1. Introduzione

Le vicende del testo Complessa è la vicenda editoriale di Myricae (tamerici, piccoli arbusti), la prima raccolta delle poesie pascoliane, che contò ben nove edizioni, dalla prima del 1891 all’ultima del 1911. I mutamenti, da un’edizione all’altra, riguardarono sia il numero dei componimenti (dalle 22 liriche della prima edizione del 1891 alle definitive 156 liriche dell’edizione del 1900) sia l’ordine interno e la distribuzione in sezioni (appena tre in Myricae 1892, quindici in Myricae 1897). Particolarmente importante è l’edizione del 1894, in cui diventa prevalente il tema funerario, cioè la celebrazione elegiaca dei lutti familiari, «rimossi» nelle prime due edizioni, quando il poeta non credeva ancora di dover porre al centro del proprio universo artistico il proprio «romanzo familiare». Il titolo è preso da Virgilio
«arbusta iuvant humilesque Myricae»,
esclusa la negazione iniziale «non ommes» ripete il secondo verso della IV Egloga ribaltandone il senso:
«piacciono gli arbusti e le basse tamerici».
Le tamerici vengono a significare gli umili oggetti dell’universo agreste. molto amati da poetae anche dallo stesso Virgilio, simbolo di una musa minore, agreste e pastorale.
Dedica L’opera è dedicata alla memoria del padre, si compone per successive elaborazioni, dal 1891 al 1903.
Nella prefazione del 1894 Pascoli designa i brevi componimenti di Myricae come
«frulli d’uccelli, stormire di cipressi, cantare di campane»;
e in effetti, ad una prima lettura, la raccolta appare come il diario di una serena giornata trascorsa in campagna, a diretto contatto con i canti degli uccelli, i lavori agricoli, il trascolorare delle ore (non a caso, Dall’alba al tramonto è il titolo di una delle sezioni dell’opera). Ma il lettore non tarda ad accorgersi che l’idillio georgico di Myricae è percorso da riferimenti inquietanti: la campagna si popola di luci sinistre e di minacciosi presagi ed è contemplata con un atteggiamento visionario e onirico. Anche il linguaggio, con la serie di vocaboli tecnici attinti dalla botanica e dalla zoologia (soprattutto dall’ornitologia) sembra a prima vista aderire agli aspetti più semplici della realtà campestre e del mondo familiare. Su questo apparente verismo di situazioni, descritto lessicalmente con precisione, interviene però una vasta gamma di voci che evocano le cose attraverso i puri suoni: è questo l’inconfondibile linguaggio pascoliano, definito da G. Contini «fono-simbolico» o «pre-grammaticale», che si giova di sorprendenti onomatopee e di fulminee analogie.
Lo sperimentalismo della raccolta risulta inoltre dalla varietà degli schemi metrici impiegati: terzine di endecasillabi o di settenari, strofe di ottonari o di novenari, quartine od ottave di endecasillabi, strofe di sei endecasillabi, strofe saffiche, ballate, madrigali. Tale ricchezza di sperimentazione linguistica e metrica induce a considerare ( sulla scorta di un lucido saggio di P.V. Mengaldo) le Myricae come un’opera autonoma e ben individuata, la più originale, insieme ai Poemetti, della produzione pascoliana.
Il nucleo centrale di Myricae è costituito della sezione L’ultima passeggiata, dove il quadretto di tipo veristico di Arano, cede subito il posto al bozzetto autunnale, intriso di una struggente malinconia, di Lavandare. Che al poeta sia del tutto estraneo il paesaggio urbano, è dimostrato dal madrigale La via ferrata, dove il treno (che tanta parte aveva nella poesia carducciana) si riduce a una via ferrata che attraversa la campagna con il suo fascio di fili metallici, i quali - conclude Pascoli con un famoso endecasillabo - «squillano, immensa arpa sonora, al vento».Esempi stupendi dell’impressionismo visionario di Pascoli sono le poesie Temporale e Il lampo, che dipingono una natura sconvolta e tragica, dinanzi alla quale l’uomo avverte la precarietà del suo destino: il fenomeno naturale diviene così il momento di un’«illuminazione» sulla realtà più profonda delle cose e della vita umana.
Al centro di Myricae domina il tema dei lutti familiari, narrato soprattutto nella lirica d’apertura, Il giorno dei morti: un vero e proprio poemetto, dove il poeta contempla, quasi in un lucido delirio, le tombe dei suoi cari morti e immagina che essi lamentino le loro sofferenze fisiche, dalle quali sono afflitti anche dopo la morte, e deplorino l’abbandono in cui i vivi li hanno lasciati. Aggressivi e dolenti, aspri e queruli, i morti di Pascoli sono presenze spettrali, al limite dell’orrore, come appare da questi versi, dove la lirica raggiunge il suo vertice visionario:
«Io vedo, vedo, vedo un camposanto, / oscura cosa nella notte oscura: / odo quel pianto della tomba [...1 Piangono. lo vedo, vedo, vedo. Stanno / in cerchio, avvolti dall’assidua tomba».
Con questa sua peculiare religione dei morti, Pascoli richiama i lettori dei suoi versi alle antiche radici dell’Italia contadina, legata al culto dei morti, e tenta di esorcizzare, con la liturgia del pianto, il male dominante nel mondo. È però inevitabile un cedimento al sentimentalismo, in un tempo in cui dura, dal 1886, il grande successo del Cuore di De Amicis: ed ecco che Pascoli insiste morbosamente sul tema della mortalità infantile (un fenomeno di indubbia verità sociologica) o della sofferenza dei bambini in poesie come Il morticino e Il rosicchiolo e in quelle della sezione Creature, tra le quali è Orfano, la lirica più famosa del gruppo. Purtroppo, Orfano è una poesia logorata dall’eccessivo consumo scolastico, come accade per il celeberrimo X agosto, sempre ammirato per il sapiente gioco di analogie. Presente nelle poesie citate e in tante altre, il tema dei morti raggiunge forse il culmine lirico in due poesie della sezione In campagna: L’assiuolo la rievocazione di una notte lunare la cui pace è insidiata dal «pianto di morte» di un piccolo uccello rapace, e Novembre, dove una serena giornata novembrina ricorda per un momento la lontana primavera, ma l’illusione è presto smentita dai rami spogli e dal cielo senza voli.

2. Lo stile

Stile Le poesie, prevalentemente, sono brevi, lo stile dimesso; si assiste via via alla formazione di un diario interiore del poeta, intimista e malinconico; i sonetti “cavallereschi”, popolati da visioni oniriche, sono seguiti da paesaggi autunnali e notturni dove il Pascoli pare distaccarsi dalla vita. Il dolore entra a far parte del paesaggio, in un alternarsi di dolcezza e tristezza che cerca una corrispondenza tra il sentire dell’autore e le cose che lo circondano.
Vi si possono in ogni modo distinguere due sviluppi fondamentali: quello della memoria, dell’elegia legata ai simulacri del mondo dell’infanzia e alla dolce e ossessiva onnipresenza dei morti; e quello più propriamente agreste e rusticale, con diffusi richiami al lavoro, alla vita domestica, al colore del paesaggio, al ritmo delle stagioni, talvolta con riecheggiamenti il canto popolare.
La visione si focalizza saltuariamente nell’Io del poeta, che continuamente si spersonalizza nel breve racconto fiabesco, nel frammento parlato, nel bozzetto idillico, oppure - quando non si tratta di memoria e di elegia - si assume la semplice funzione di registrare impressioni visive e uditive.le prospettive in Pascoli tendono a moltiplicarsi ed ad alterarsi, col risultato di un diffuso relativismo di valori e di proporzioni.
L’operazione poetica teorizzata nel Fanciullino, dove si parla della singolare facoltà del poeta- puer di “impicciolire” le cose grandi e di “ingrandire” le cose piccole, è constatabile in numerosi componimenti,
Nel sonetto il Bove si dà l’esempio di un’ottica deformata del paesaggio, del cielo, degli uomini. In altri casi sembra dilatarsi il microcosmo delle cose umili, o il fenomeno grande e pauroso ridursi a percezioni domestiche:

Passò scrosciando e sibilando il nero
nembo: or la chiesa squilla; il tetto rosso
luccica; un fresco odor dal cimitero
viene, di bosso.


Il mondo di Myricae è popolato di cose e di immagini, l’analitica nominazione delle cose. piante animali, strumenti di lavoro, arredi domestici, farebbe pensare ad un’attitudine realistica del Pascoli, se non sapessimo che questa nominazione fa parte delle magiche facoltà del fanciullino, della sua disposizione ad attrarre il mondo nella sfera del proprio stupore. In realtà il Pascoli non descrive ma, come dicevamo, registra impressioni. Un aspetto tipico dell’impressionismo di Myricae è la composizione a macchie di colore:
Nel campo mezzo grigio e mezzo nero... (Lavandare)


Un bubbolio lontano...
Rosseggia l’orizzonte,
come affocato, a mare;
nero di pece, a monte,
stracci di nubi chiare:
tra il nero d’un casolare:
un’ala di gabbiano.
(Temporale)


Tuttavia la forza innovativa del libro investe soprattutto le strutture linguistiche:

a) Novità linguistica

Usa un linguaggio
pre-grammaticale. è il linguaggio di suoni dei bambini che usano un linguaggio tutto loro personale
grammaticale: quello normalmente usato nella comunicazione interpersonale e letteraria, che presuppone una visone del modo sicura razionale senza incertezze
post-grammaticale, introducendo dei termini nuovi specifici che appartengono, alle lingue speciali devono ancora entrare nel vocabolario nell’uso comune es: laveggio, zeppola, necci, ballotte, vincigli

3. Il lessico, ampliato considerevolmente rispetto alla tradizione letteraria che si rifa’ a Petrarca che usa un lessico povero e aristocraticamente selezionato. In Myricae il vago e l’infinito lascino il posto alla determinazione specifica. Liquidata la convenzione platonica degli alberi, dei fiori, degli augelli, una vasta terminologia botanica e zoologica e ornitologica, irrompe nel mondo della poesia Novità anche per gli oggetti nominati: piccole cose, presenze alternative, presenze umili, accanto a piante nobili. inoltre una grande immissione di termini gergali, soprattutto legati al lavoro dei campi

a) Novità strutturale

Le sue poesie rispecchiano la sua visone del mondo e che vede la natura come un mistero da penetrare, non attraverso le categorie logiche, scientifiche del Logos, come era nella tradizione ma in forme nuove che infrangono l’ordine logico, la coerenza fra il prima e il dopo, congruenza fra i vari aspetti delle cose, la nettezza di disegno e di definizione cioè le regole d’oro della poesia tradizionale sino a Carducci cioè della costante classico-razionalista della poesia italiana ed europea. Pascoli è il poeta anticlassico per eccellenza.
Dice Barberi Squarotti
«Narrare per allusioni, riprese spesso foniche dove il nucleo del discorso non è mai completamente esplicitato, narrare per analogie verbali, per catene di ripetizioni i trama. La parola gira intorno senza amai affrontare il discorso e chiarirlo appieno, lasciando un margine d’ombra più o meno vasto d’ombra, di suggerito, di allusivo, in modo da rinviare sempre a qualcosa che è oltre la parola stessa (..) narra per improvvise illuminazioni, per dichiarazione di esistenza di oggetti disparati. Opera vertiginosi salti di prospettiva da oggetto a oggetto, dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande e viceversa. i fenomeni sono tenuti insieme da una trama segreta, allusiva che rimanda sempre a qualcosa prima e dopo il detto, dando il senso di una vicenda simbolica che non conosce soste ne arresti né soluzioni di continuità»

2. Sintassi processo di frantumazione di scadimento del tessuto sintattico, evidente specialmente nei componimenti d’impressione: elissi, assenza del verbo, accostamento di percezioni separate, ma anche il quelli in cui si riproduce il parlato nelle sue sospensioni emotive. Prevale quindi la paratassi

St! un rumore... ai labbri ti si porta
la penna, un piede dondola... Che cosa?
Nulla: un tarlo, un brandir lieve di porta...
Oh! mamma dormi e sogna... che sei sposa.
(Un rumore)

b) Novità metrica

Pascoli introduce una novità rispetto alla tradizione, poiché usa i generi metrici della tradizione ma li rinnova dall’interno, sottoponendo le tensioni e forzature. Quando il Pascoli abbandona il ritmo del canto facile e della filastrocca popolare, i suoi versi possono presentare difetti o eccedenze di misura;
Tra gli argini su cui mucche tranquilla-
mente pascolano....
(La via Ferrata)

4. Figure Retoriche

Fonosimbolismo La novità più rilevante della rivoluzione di Myricae la parola diventa strumento imitativo del suono , non limitata alla onomatopea, ma estesa alle figure dell’assonanza e dell’alitterazione. canti di uccelli, rintocchi di campane, sequenze di echi e di voci e altre più vaghe e segrete risonanze costituiscono, dopo questo primo libro, un segno distintivo della poesia del Pascoli.

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