venerdì 1 gennaio 2010

1. La vista

La vista fra luci e ombre

Josè Saramago, Cecità


La vista è il senso della filosofia e della ricerca scientifica. Quando diciamo: “Vedi?” intendiamo anche dire: “Capisci?”. Poniamo il caso che, improvvisamente, mentre stiamo fermi ad un semaforo in attesa del verde, perdessimo la vista? Intendo: che tutti gli uomini diventassero ciechi? Che cosa succederebbe? Josè Saramago, scrittore portoghese, premio Nobel della letteratura nel 1998, ha provato ad immaginarlo, e con rigore ha descritto un mondo al buio, una “cecità” che, come un’epidemia contagia tutta l’umanità. Ne è venuto un quadro inquietante, perché all’oscurità materiale si aggiunge una ben peggiore notte dello spirito. Come se ne esce? Leggiamo la prima pagina del libro.

SARAMAGO «Il disco giallo si illuminò. Due delle automobili in testa accelerarono prima che apparisse il rosso. Nel segnale pedonale comparve la sagoma dell'omino verde. La gente in attesa cominciò ad attraversare la strada camminando sulle strisce bianche dipinte sul nero dell'asfalto, non c'è niente che assomigli meno a una zebra, eppure le chiamano così. Gli automobilisti, impazienti, con il piede sul pedale della frizione, tenevano le macchine in tensione, avanzando, indietreggiando, come cavalli nervosi che sentissero arrivare nell'aria la frustata. Ormai i pedoni sono passati, ma il segnale di via libera per le macchine tarderà ancora alcuni secondi, c'è chi dice che questo indugio, in apparenza tanto insignificante, se moltiplicato per le migliaia di semafori esistenti nella città e per i successivi cambiamenti dei tre colori di ciascuno, è una delle più significative cause degli ingorghi, o imbottigliamenti, se vogliamo usare il termine corrente, della circolazione automobilistica.
Finalmente si accese il verde, le macchine partirono bruscamente, ma si notò subito che non erano partite tutte quante. La prima della fila di mezzo è ferma, dev’essere un problema meccanico, l'acceleratore rotto, la leva del cambio che si è bloccata, o un'avaria nell'impianto idraulico, blocco dei freni, interruzione del circuito elettrico, a meno che non le sia semplicemente finita la benzina, non sarebbe la prima volta. Il nuovo raggruppamento di pedoni che si sta formando sui marciapiedi vede il conducente dell'automobile immobilizzata sbracciarsi dietro il parabrezza, mentre le macchine appresso a lui suonano il clacson freneticamente. Alcuni conducenti sono già balzati fuori, disposti a spingere l'automobile in panne fin là dove non blocchi il traffico, picchiano furiosamente sui finestrini chiusi, l'uomo che sta dentro volta la testa verso di loro, da un lato, dall'altro, si vede che urla qualche cosa, dai movimenti della bocca si capisce che ripete una parola, non una, due, infatti è così, come si viene a sapere quando qualcuno, finalmente, riesce ad aprire uno sportello, Sono cieco»


Melania G. Mazzucco
La lunga attesa dell’angelo La sentinella dei colori

«Melania G Mazzucco, scrittrice romana, già vincitrice del premio Strega nel 2002 con Vita, racconta in un recente romanzo, La lunga attesa dell’angelo, la storia di un grande genio della pittura universale, il veneziano Jacomo Tintoretto, costruendo un coinvolgente e raffinato affresco, dell’uomo e della città in cui è vissuto. In questo brano si parla del pittore ancora bambino che scopre, nel laboratorio del padre, la magia e la consistenza dei colori e ne diventa una piccola, ma insormontabile sentinella»

«Anch'io ho amato i colori - l'azzurro del cielo di maggio, il riflesso della luce su una manica di seta scarlatta, il rosa del tramonto sul muschio verde di uno squero. È la prima cosa che mi ha insegnato mio padre: a circondarmi di cose belle, sgargianti, preziose, e sporcarmi le mani per ottenerle.(…). Ma mio padre aveva il laboratorio (…) Il locale era poco più di una tettoia di tegole aperta su tre lati: quelle pareti fatte solo d'aria catturavano tutta la luce del giorno che a noi era negata. Era disseminato di grandi vasche rettangolari, sempre piene fino all'orlo. Le chiamavamo barche. Ma non si trattava di tinozze. L'acqua di una barca era rosso granato, quella di un'altra giallo limone, c'era la vasca verde smeraldo e la vasca blu. Tutti i colori che la soffocante penombra del quartiere ci negava sembravano caduti là dentro, ed esservi rimasti prigionieri. Nelle barche - marchiate con la R dei Robusti, la sigla della nostra ditta - mio padre immergeva i panni. Non erano di lino, cotone, o velluto: erano di seta.
(…). La stoffa si abbeverava dei colori - come ne avesse sete. E poi i panni, grandi come lenzuoli di giganti, e impalpabili come l'aria, venivano lavati nel canale e appesi ad asciugare. I panni azzurri e giallo zafferano dovevano asciugare al sole, e allora venivano inchiodati sui telai montati sui pali confitti nel terreno, all'aperto — i panni rossi, grigi e viola all'ombra, e allora dalle travi del soffitto sgocciolava sulle assi una pioggia magica. A volte, da bambino, mi sdraiavo sul pavimento del laboratorio e lasciavo che la mia pelle si tingesse di rosso, scarlatto, violetto. Ancora oggi, quando mi guardo le mani, ho l'impressione che nei pori sia rimasta qualche goccia di tintura.
(…) Se ripenso alla mia infanzia, vedo la tintoria di mio padre.
Imparavo a leggere, scrivere e fare le addizioni, (…) Ma non vedevo l'ora di tornare al laboratorio e aiutare i lavoranti di mio padre ad alimentare i fuochi sotto le caldiere e a rimestare nelle barche coi lunghi bastoni di vetro. Anche quei bastoni si tingevano di rosso, nero, blu. Le nostre vite erano buie, eravamo schiacciati e soffocati dai muri, dai palazzi, dalla penombra. Ma ogni cosa, nella tintoria, era colore.
I colori avevano un odore, e anche un sapore. Alcuni sapevano di minerale, di terra e di spiagge lontane — altri di animale, di legno bruciato o della profondità del mare. Nella tintoria di mio padre accadeva qualcosa di magico. E io volevo capire l'alchimia della metamorfosi. Perché tutto si tiene, ogni cosa diventa un'altra, ogni essere, ogni vita genera una catena di trasformazioni, e non se ne può indovinare la fine. La materia - che è la cosa più vile della terra - è però, anche, immortale.
Mio padre era stato il primo tintore di Venezia a importare la gomma lacca dall'India per fare lo scarlatto. La gomma lacca? Io vedevo solo granuli che i nostri lavoranti scioglievano nell'acqua bollente. Ma quei granuli venivano dalla resina, e la resina la producevano insetti minuscoli, che infestano i tronchi degli alberi di quei paesi dell'Asia, e li coprono con la loro secrezione rossa. Dietro ogni colore c'è un processo, e dietro ogni processo una causa - ma ciò che rende l'uomo diverso dalle altre creature è la capacità di manipolare gli elementi, di inventare e creare: trasformare anche un minimo insetto in una goccia di stupefacente colore, in qualcosa di prezioso. (…) Appena potevo, sfuggivo alla scuola, alla chiesa, alle lezioni di musica, agli obblighi e alla disciplina, e mi insinuavo nel laboratorio della tintoria.
I lavoranti di mio padre mi trovavano sempre qualcosa da fare. Siccome erano molto gelosi delle loro pratiche, e non volevano che i curiosi si affacciassero a spiare i loro metodi di tintura, mi chiedevano di fare la sentinella sul canale e di allontanare chiunque si avvicinasse troppo. Ma io facevo di più. Salivo sul tetto, e senza farmi vedere tiravo palle di fango sulle barche di passaggio. Al calar della sera mi tingevo la faccia di nero e mi avvolgevo in un mantello pure nero, prendevo una lanterna e correvo avanti e indietro sulla riva, lungo il canale, ululando — così che a Venezia tutti andavano dicendo che la tintoria dei Robusti era protetta dai demoni.
A nove anni già aiutavo i lavoranti (…). Nei giorni di chiusura restavo nel laboratorio, a fantasticare. I panni di seta color cenere, rossi e viola oscillavano dolcemente sui telai al soffio dell'aria che si insinuava dalle immense aperture. Erano le mie vele. Sognavo di essere il capitano di una flotta di galee dirette nella lontana India, dove avrei abbattuto un'intera foresta per strappare agli alberi milioni di parassiti capaci di tingere di scarlatto tutta Venezia. Oppure in Cina, o nelle Americhe a comprare il legno rosso del Brasile o l'indaco del Guatemala per inventare un nuovo azzurro. Ho solcato gli oceani di tutta la terra, correndo fra quei panni. Per questo non ho mai sentito il desiderio di imbarcarmi davvero.
Quando i lavoranti di mio padre, a fine turno, lasciavano la tintoria, intingevo il bastone di vetro in una vasca e con quello, come fosse una matita, disegnavo sul pavimento e sui muri il profilo delle foreste d'Oriente, le sagome dei marinai e l'alberatura delle navi. Le pareti della tintoria sono state le mie prime tele.
Avevo undici anni quando il socio mercante della tintoria mi propose di accompagnarlo a Smirne e poi a Baghdad: partiva per rifornire i magazzini di barili di polvere, grani e cristalli che mio padre trasformava in colori. Mio padre, cui avevano riferito le mie imprese coi bastoni di vetro, mi chiese se volevo partire. A me non interessavano i paesi dei colori, ma i colori stessi»











Diritto: Il mutuo


ART 1813 cc
Il mutuo è il contratto col quale una parte consegna all’altra una determinata quantità di denaro o di altre cose fungibili e l’altra si obbliga a restituirne altrettante cose della stessa specie e qualità

ART 1814
Le cose date a mutuo passano in proprietà del mutuatario

ART 1815
Salvo diversa volontà delle parti, il mutuatario deve corrispondere gli interessi al mutuante. Se sono convenuti interessi usurari la clausola è nulla e non son dovuti interessi.

ART 1816
Il termine per la restituzione si presume stipulato a favore di entrambi le parti e se il mutuo è gratuito a favore del mutuatario

ART 1818
Se sono mutuate cose diverse dal denaro e la restituzione è diventata impossibile o notevolmente difficile per causa non imputabile al debitore, questi è tenuto a pagare il valore tenuto conto del tempo e del luogo in cui la restituzione si doveva eseguire.




ART 1819
Se stata convenuta la restituzione rateale della cose mutuate e il mutuatario non adempie l’obbligo del pagamento anche di una sola rata il mutuante può chiedere secondo le circostanze l’immediata restituzione dell’intera.

ART 1820
Se il mutuatario non adempie l’obbligo del pagamento degli interessi, il mutuatario può chiedere la risoluzione del contratto.

ART 1822
Promessa di mutuo – è consensuale, ha effetti obbligatori, come un preliminare di vendita.
Chi ha promesso di dare a mutuo può rifiutare l’adempimento della sua obbligazione se le condizioni patrimoniali dell’altro contraente sono divenute tali da rendere notevolmente difficile la restituzione e non gli sono offerte idonee garanzie.

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